Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha fissato l’obiettivo in una percentuale: arrivare in pochi anni al 10% della superficie coltivata con esperienze e produzioni legate all’agricoltura di precisione. Il che significa pestare forte sull’acceleratore della trasformazione in senso digitale di stalle, campi, fattorie e mezzi agricoli. Tre quarti di secolo dopo l’invasione delle macchine nel meno innovativo dei settori produttivi, il primario si ritrova dunque lungo la frontiera del cambiamento.
Una seconda meccanizzazione guidata non più però dal «tuono dei cilindri rimbombante per i campi» (J. Steinbeck, Furore , 1939) ma dal ronzare appena percepibile dei circuiti integrati.
Telecamere 3D che scansionano i capezzoli delle vacche per migliorare l’efficienza della mungitura, dispositivi che separano il latte alimentare da quello destinato alla produzione di formaggio per incrementare le rese casearie, sensori dotati di spettri intelligenti che rivelano le differenze di temperatura negli animali segnalando possibili malattie. E ancora, sistemi Gps che mappano appezzamenti di terreno per accrescere i raccolti, rover capaci di infilarsi fra i filari per andare a colpire i parassiti, spandiconcimi e seminatrici automatiche.
Sensori e silicio
E i droni? «Anche i droni, certo» sorride il professor Leonardo Valenti, docente di Agraria alla Statale di Milano e ispiratore del gruppo Sata, uno “studio agronomico” nato nel 1990 per fornire consulenza agli imprenditori agricoli. «Oggi — prosegue — possiamo parlare di seconda vita della meccanizzazione: si è fatto molto di più nell’ultimo decennio che nei cinquant’anni precedenti. Un input che nasce dall’esigenza di ripensare l’agricoltura in termini di maggior precisione e sostenibilità. Di qui la reazione dell’industria automotive, che ha risposto alla domanda dei produttori integrando il digitale nella meccanica».
I pionieri
Una rivoluzione partita dai grandi appezzamenti del Nord America e dell’Australia — dove ad esempio già da diversi anni si sperimentano sensori idrometrici predittivi per fronteggiare i cambiamenti climatici oppure collari sonori capaci di indirizzare gli animali all’interno di staccionate virtuali disegnate sullo smartphone dagli allevatori — ma che ha ormai una declinazione tutta italiana. Nell’azienda agricola Ponte Vecchio a Vidor (Treviso) tutto è automatizzato e per gestire le 120 vacche da latte basta una sola persona a cui è affidato in remoto il controllo delle mungitrici automatiche: «L’investimento economico non è stato di poco conto, circa mezzo milione di euro, ma la produzione è aumentata di un quarto» spiega Fabio Curto, che conduce l’azienda e siede in Confagricoltura Veneto.
A Cascina Baroncina (Lodi), invece, il Crea, l’ente governativo per la ricerca in agricoltura, conduce un’allevamento sperimentale dove vengono testati gli ultimi ritrovati in materia di precision livestock farming . Nella stalla sono stati posizionati dei microfoni per registrare la tosse dei vitelli e le vocalizzazioni degli adulti individuando così situazioni di sofferenza o problemi etologici e gerarchici. Altri sensori studiano la ventilazione degli ambienti per rivelare temperatura, umidità e presenza di ammoniaca, mentre lo staff del professor Andrea Galli, a capo del centro, è al lavoro per migliore le prestazioni di podometri, attivometri e ruminometri. «È ormai chiaro — ragiona Galli — come la zootecnia di precisione permetta di raggiungere risultati misurabili: più benessere animale, meno spesa in farmaci, ottimizzazione dell’alimentazione dei capi, più produttività e meno impatto ambientale».
Università e imprese
Il mondo della ricerca ha colto la portata del cambiamento. Il Politecnico di Milano è capofila del progetto «Grape» che mira a creare rover capaci di effettuare controlli biologici in vigna, ma è stata forse la qualità tecnologica delle proposte presenti alla Fiera zootecnica di Cremona a restituire la portata del fenomeno. La Tdm di Brescia ha presentato uno spettroscopio in grado leggere la composizione del latte separandone durante la mungitura l’alimentare da quello destinato alla produzione di formaggio. La mantovana Battini Agri punta invece sulle «mappe di prescrizione» che guidano da remoto spandiconcimi, botti del diserbo e seminatrici pneumatiche. L’intelligenza artificiale è salita sul trattore.
Massimiliano Del Barba – Il Corriere della Sera – 8 febbraio 2017