Anche il riscaldamento dello spread con i titoli di Stato tedeschi registrato ieri entra nella partita sui conti fra Roma e Bruxelles e contribuisce di fatto ad accelerarne il calendario. Ieri il differenziale fra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi ha superato la soglia psicologica dei 200 punti, attestandosi in serata a quota 201,1.
Il tema ieri è entrato nell’agenda dell’incontro a Palazzo Chigi fra il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, per fare il punto sulle prossime mosse che saranno al centro anche dell’audizione che il titolare dell’Economia terrà questa sera in Senato. In prospettiva, all’interno dell’intervento in due tempi descritto dallo stesso Padoan giovedì scorso nell’Aula di Palazzo Madama, prende quota l’ipotesi di un primo intervento con decreto legge per avviare l’aggiustamento. Il varo di questo primo pacchetto di misure correttive potrebbe arrivare entro la fine del mese.
Il superamento dei 200 punti non è ovviamente una buona notizia per Via XX Settembre, dove però al momento la dinamica non suscita un allarme specifico. Ieri, si fa notare prima di tutto dalle stanze dell’Economia, il differenziale rispetto ai Bund è aumentato praticamente in tutti i principali Paesi europei, e la dinamica è stata favorita anche dal fatto che il rendimento dei titoli tedeschi è in diminuzione. Il tasso di interesse chiesto dagli investitori sui nostri Btp, insomma, è in aumento, ma lo spread tende a “gonfiare” il dato proprio per l’arretramento del parametro di confronto. Alla base di questo fenomeno europeo ci sono anche i venti di incertezza politica sia in Europa, a partire dalle minacce scissioniste rilanciate domenica in Francia dalla leader del Front National Marine Le Pen, sia in Italia, dove il calendario del voto rimane al centro del dibattito politico. Entrambi fattori, si fa notare, su cui le leve nazionali di politica economica non hanno possibilità di incidere davvero.
Intanto sulla linea Roma-Bruxelles proseguono a vari livelli, tecnici e politici, i confronti sull’aggiustamento dei conti italiani, dopo l’apertura del presidente della commissione Ue Jean Claude Junker a Malta.
Sul rischio che l’Italia inciampi in una procedura d’infrazione, espressamente escluso sempre da Malta dal premier Gentiloni, la commissione ovviamente non si pronuncia, ma il lavoro comune dei tecnici punta proprio a evitare l’ostacolo. Ancora da definire puntualmente è la stessa entità della correzione, che oggi è fissata a 3,4 miliardi di euro ma potrebbe alleggerirsi di qualche centinaio di milioni se i dati sulla crescita 2016, e sui primi passi di quest’anno, si riveleranno migliori di quanto indicato nei documenti ufficiali (si veda Il Sole 24 Ore del 4 febbraio).
La rotta del governo italiano punta per ora a un’operazione in due tempi all’interno del cantiere del Def. La prima mossa, da attuare con il decreto di fine febbraio, dovrebbe concentrarsi prima di tutto sui ritocchi alle accise su tabacchi e carburanti e su una parte dei tagli di spesa. In un calendario così stretto, del resto, non è possibile andare molto oltre ai risultati che si ottengono con un aumento immediato di entrate dalle accise e la riduzione di spesa da effettuare in prevalenza con tagli semilineari, distribuendo cioè obiettivi più o meno “ambiziosi” sulla base della delicatezza della voce di spesa interessata. Nel capitolo “tagli” rientrerebbe anche l’ipotizzata potatura su alcuni crediti d’imposta settoriali, accompagnata da un obiettivo da 100-150 milioni.
Non troveranno invece spazio nel provvedimento iniziale le misure catalogate come «lotta all’evasione» dell’Iva, vale a dire l’estensione del reverse charge a una serie di settori oggi non coinvolti dall’inversione contabile e dello split payment oltre i confini della Pa propriamente detta, applicandolo per esempio anche ai rapporti commerciali con le società controllate da Stato ed enti locali. Per queste mosse serve infatti più tempo, per la complessità tecnica dei temi in gioco ma anche perché come ogni misura sull’Iva c’è bisogno di un confronto con Bruxelles. L’obiettivo rimane in ogni caso quello di ridurre la madre di tutte le evasioni, cioè il tax gap dell’Iva, il cui ruolo da protagonista nel sottrarre risorse al fisco torna in ogni monitoraggio sul tema.
Marco Rogari e Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 7 febbraio 2017