C’è uno spreco di cibo che impatta direttamente sui conti pubblici: quello che avviene, ogni giorno e nell’impotenza generale, negli ospedali e nelle scuole. Nel caso degli ospedali la percentuale stimata è attorno al 40 per cento, ma in molti casi la metà degli alimenti contenuti nei vassoi per colazione, pranzo e cena dei degenti, finisce puntualmente nell’immondizia. L’indagine sul campo più completa è stata fatta in Piemonte, dove per 48 settimane consecutive un gruppo di medici e di nutrizionisti ha misurato la quantità dei pasti sprecati in 35 reparti di 13 strutture sanitarie della regione.
Il totale è da brivido: 3 milioni di euro sprecati. Se pensate che il Piemonte è una delle regioni dove l’assistenza sanitaria, in generale, presenta i migliori livelli di efficienza, e se considerate che la spesa complessiva per i pasti nel Servizio sanitario nazionale ammonta a circa 1 miliardo di euro, potete avere un’idea dell’enormità di questo spreco. E di quanti soldi si potrebbero recuperare, magari per migliorare altre prestazioni sanitarie. Come? Innanzitutto utilizzando il metodo appena seguito con l’acquisto centralizzato degli aghi che si è tradotto in un risparmio di 132 milioni di euro su base nazionale. In questo caso, gli appalti per le forniture dei pasti ospedalieri dovrebbero essere centralizzati a livello regionale, come già avviene in alcune zone del Paese, come l’Emilia Romagna. Un altro importante deterrente contro lo spreco di cibo negli ospedali sarebbe il controllo sulla qualità del cibo e sugli orari di distribuzione dei vassoi con i pasti. Troppi cibi distribuiti negli ospedali sono immangiabili, e in troppe strutture sanitarie viene servita, per esempio, la cena alla sei del pomeriggio (magari per accontentare qualche sigla sindacale intema agli ospedali sugli orari dei turni di lavoro del personale). Quanti sono gli italiani che nelle loro case vanno a cena alle 18 del pomeriggio? Una ristrettissima minoranza, e non si capisce perché i pazienti dovrebbero avere appetito e mangiare a orari ai quali non sono abituati. Quanto alle scuole, lo spreco di cibo arriva fino al 50 per cento in
IN OSPEDALE Un addetto alla ristorazione prepara i pasti per i pazienti molti istituti. Ed è singolare che sia simmetrico, rispetto alle tipologie di prodotti sprecati, a quello domestico: nell’ordine frutta, insalata, verdura e pane. Con l’aggiunta della pasta, che spesso gli alunni definiscono semplicemente «colla».
VEGANI Oltre alla cattiva qualità, in questo spreco, che si traduce in un costo importante per il settore dell’Istruzione sempre a corto di quattrini, pesa la cattiva diligenza di insegnanti e presidi. Secondo un’indagine del ministero della Salute, infatti, nel 40 per cento delle scuole italiane nessuno è m grado neanche di sapere se e come si spreca il cibo. Ignorano il fenomeno. E magari nelle stesse scuole i dirigenti scattano velocissimi per assecondare mode e tendenze a tavola, introducendo, sulla carta, menù scolastici per vegani e per vegetariani. Scelte anche giuste, ma che magari andrebbero fatte dopo avere capito come fermare, o perlomeno come ridurre, lo scandalo dello spreco di del cibo servito agli studenti.
Il Messaggero – 6 febbraio 2017