I dati sul numero di aziende agricole con bovini negli ultimi 5 lustri sono impressionanti; siamo passati da 318.207 nel 1990, a 124.000 nel 2010 e progressiva tendenza al calo negli anni successivi; possiamo stimare un terzo di aziende “sopravvissute”.
Nel 1990 i veterinari italiani erano circa 18.000, mentre oggi siamo attorno ai 36.000. Le aziende rimaste sono mediamente più grandi e quindi, da una parte si è ridotto il numero di veterinari richiesti, e dall’altra si assiste a minor ricorso al veterinario, assai più frequente nelle numerose stalle a dimensione “familiare” di 25 anni fa.
In molte realtà non sono più i veterinari a occuparsi in modo esclusivo di fecondazione artificiale, ostetricia, mascalcia e altri ambiti.
Parallelamente all’aumento dei veterinari si assiste ad un proliferare di corsi di laurea simili, che pur non creando figure da albo ordinistico, formano alternative al medico veterinario in molti comparti del mondo del lavoro.
Se anziché valutare il numero di aziende, confrontiamo il numero di animali (7,5 milioni nel ’90 – circa 5 milioni oggi), il calo può apparire meno disastroso, proprio perché sono rimaste attive aziende di dimensioni medie maggiori, quindi con più capi.
Una parte del mercato vede positivamente l’incremento di aziende più grandi, supponendo una maggior resa economica, tuttavia una certa “specializzazione” produttiva si rivolge a mercati particolari, generalmente più redditizi. In ogni caso il confronto con altri Paesi UE non ci vede protagonisti: la Francia ha quasi 20 milioni di bovini, la Germania oltre 12. Per le piccole aziende la struttura geografica del nostro Paese (Alpi-Appennini) dovrebbe razionalmente percepire la zootecnia come una forma di manutenzione del territorio, attraverso pascoli e terreni destinati alla fienagione.
Le aziende zootecniche costituiscono fattori di incremento e sostegno per mantenimento delle superfici regionali, del turismo e del sistema produttivo.
Lo sfacelo della zootecnia ha determinato una fortissima contrazione dello spazio professionale dei veterinari privati e pubblici, costo diretto o trasversale per un importante settore economico di base.
Lo Stato, da parte sua, dovrebbe cercare di limitare gli oneri per produttori e collettività, misurando il reale fabbisogno per ciascun settore; in caso contrario l’economia non puo’ presentare alcun presupposto per ripartire.
Angelo Troi (Sivelp)
6 febbraio 2017