Le anguille del lago di Garda, di cui attualmente sono vietati il consumo, la pesca e il commercio perché contaminate da diossine e policlorobifenili, resteranno interdette almeno per i prossimi cinque anni, e cioè almeno fino a fine 2021. A dare il «suggerimento tecnico» al Ministero della Salute sono la analisi dei dati e la relazione finale redatta dall’Istituto zooprofilattico di Teramo, Centro di riferimento assoluto in Italia per l’epidemiologia veterinaria sulla base dei campionamenti elaborati dall’Izs (Istituto zooprofilattico sperimentale) delle Venezie e dell’Izs di Lombardia ed Emilia-Romagna.
La relazione è arrivata a Roma in ritardo di diversi mesi rispetto alla conferma dell’ordinanza di blocco totale per le anguille dell’8 giugno 2016, firmata dal ministro Beatrice Lorenzin e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 giugno.
L’atto faceva seguito alle precedenti ordinanze, la prima delle quali del 17 maggio 2011 voluta dall’allora sottosegretario veronese Francesca Martini, e poi prorogata con analoghi provvedimenti del 18 maggio 2012, 7 giugno 2013, 13 giugno 2014 e 21 maggio 2015.
Ora che la relazione è arrivata al Ministero si ha più chiaro il quadro. Anzitutto nelle premesse dato che, come si legge nella relazione, ad onta degli inquinanti tossico-nocivi e dei cancerogeni riscontrati nei pesci le Associazioni di categoria dei pescatori professionali avevano chiesto di considerare la possibilità di revocare il divieto di commercializzazione di anguille, seppur limitatamente a determinate categorie definite in base a caratteristiche morfologiche quali lunghezza o peso.
Quali sono i risultati delle analisi? «Sono stati prelevati e analizzati all’imbocco dell’emissario del Garda nel comune di Peschiera, 90 campioni di anguille adulte, nella fase finale del loro sviluppo (le così dette anguille argentine, ndr)». I pesci sono stati suddivisi in tre categorie: 32 campioni tra 54 e 65 centimetri di lunghezza, 34 tra 67 e 80 e 24 tra 81 e 100. Sono stati valutati, oltre alla lunghezza, anche il peso, la frazione lipidica e la concentrazione di ciascuno dei 17 congeneri di Pcdd/F, oltre ai 12 congeneri di Dl-Pcb e 6 congeneri di Ndl-Pcb».
Insomma, sono state esaminate tutte le sostanze tossico-nocive, se non pure cancerogene, presenti. Risultati? «Ben 18», si legge, «hanno mostrato valori superiori ai limiti massimi. In particolare, le non conformità sono tutte attribuibili alla somma di Pcdd/F e Dl-Pcb. Altri tre campioni sono risultati non conformi anche per Ndl-Pcb». Altri 24 campioni «hanno presentato valori di Pcdd/F + Dl-Pcb superiori al livello massimo, ma conformi tenendo conto dell’incertezza di misura». Una sorta di «zona grigia», insomma, valutabile a seconda della interpretazione delle misurazioni. Infine, 48 sono risultati conformi e con valori misurati di PCDD/F + Dl-Pcb inferiori al livello massimo.
Tenuto conto delle diatribe scientifiche circa i valori, più o meno la metà delle anguille è contaminata in modo significativo e metà, probabilmente, no. Importanti anche i ragionamenti estrapolati grazie ai dati: peso e lunghezza dei pesci non sembrano correlati ne correlabili con la quantità di sostanze tossiche contenute, mentre la frazione lipidica, cioè la componente grassa, che è poi quella dove si accumulano in particolare le diossine e i Pcb, sembra invece associata alla maggiore presenza di tossicità. Ma c’è di più. Lo studio ha anche negato la possibilità di autorizzare il consumo delle anguille in base alle dimensioni e al peso. Basterebbero infatti arca 96 grammi di anguilla tra quelle più contaminate per superare la soglia mensile tollerabile dall’uomo. Conclusione: «Inconsiderazione dei lunghi tempi di persistenza delle sostanze tossi che nelle anguille e dei lunghi tempi di permanenza nelle acque del Garda prima di migrare per riprodursi, il campionamento potrà essere ripetuto non prima di almeno cinque anni dal presente monitoraggio».
L’Arena – 29 gennaio 2017