Se ne parlava da giorni, del braccio di ferro che si stava consumando a Roma sul commissario di Padova Michele Penta, chiamato a reggere la città del Santo dopo la caduta del sindaco Massimo Bitonci e a gestire nel mezzo di un’aspra campagna elettorale il delicato dossier del nuovo ospedale. E ieri il prefetto Penta ha rassegnato le dimissioni dall’incarico. Una mossa clamorosa, con pochi precedenti nella prassi burocratico-amministrativa, giustificata in una nota stringata con «motivi personali» e nell’intervista qui a lato con nuove opportunità professionali.
Ma in molti, specie nel centrodestra, si dicono convinti si tratti in realtà del più classico dei promoveatur ut amoveatur – promuovere per rimuovere – col prefetto napoletano destinato a nuovo e più prestigioso incarico per evitare che procedesse con la firma dell’accordo che avrebbe dato il via alla realizzazione del nuovo policlinico universitario a Padova Est, da sempre osteggiato dal Pd e dal sottosegretario all’Ambiente ed ex presidente della Provincia Barbara Degani.
E potrebbe non essere finita qui: in una città in grave crisi politico istituzionale, ieri sera fonti governative davano per certo anche l’addio del prefetto Patrizia Impresa, protagonista di una lunga disfida con Bitonci sulla gestione dei migranti e amica di lunga data di Penta («È stato il mio maestro», disse quando lui arrivò a Padova). Verrebbe nominata vicecapo di gabinetto del ministro dell’Interno Marco Minniti nel corso del Consiglio dei ministri che si terrà oggi, prima che il premier Paolo Gentiloni voli a Madrid. In pole position per la successione c’è Renato Franceschelli, 59 anni, attuale direttore centrale dei Servizi tecnico-logistici del Viminale.
Le «pressioni»
Che l’attenzione sull’incarico di Penta si fosse intensificata negli ultimi giorni è confermato, oltre che da autorevoli fonti romane, anche dal post sibillino pubblicato da Bitonci su Facebook prima che la prefettura diffondesse la notizia delle dimissioni: «Trovo indebite le pressioni che Penta riceve ogni giorno dai “democratici” di sinistra Naccarato e compagni. Non vorrei “gettasse la spugna” proprio per queste ragioni!». E poco dopo, con le dimissioni ormai ufficiali: «Detto fatto, il Pd dopo numerosi attacchi, indebite pressioni è riuscito nel suo intento. Fatto di una gravità assoluta». Il deputato dem Alessandro Naccarato non ha voluto commentare ma è noto che porta la sua firma l’interrogazione presentata la scorsa settimana a Minniti in cui si contesta la «decisione discrezionale» di Penta di confermare alcuni dirigenti di vertice del Comune nominati da Bitonci e si sottolinea come «la gestione commissariale dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione e alla massima neutralità in attesa delle prossime elezioni». Il che, par di capire, secondo Naccarato fino a ieri non era. Il segretario del Pd Massimo Bettin parla di «volgari illazioni» e ribatte: «Noi ci atteniamo alla motivazioni date da Penta, persona seria e corretta. Il nuovo ospedale? Bitonci tenta di coprire i suoi pasticci con assurde dietrologie e stupisce che Zaia continui a stargli dietro».
L’ira di Zaia
E però più di Bitonci, che pure dall’avvio dell’iter dell’ospedale riceverebbe un bello sprint in campagna elettorale, è proprio Zaia a mettere insistentemente in relazione l’addio di Penta con la partita da 650 milioni a Padova Est: «Se ne va un galantuomo disponibile a risolvere i problemi, uno per tutti quello del nuovo ospedale – ha detto il governatore, che peraltro mercoledì ha visto Minniti a Roma per il vertice sui migranti – non gli è stato riconosciuto lo status di commissario straordinario e quindi non è stato messo nelle condizioni di firmare l’accordo. Qualcuno dice che a pensar male spesso ci si azzecca. Staremo a vedere: se arriverà un prefetto che comincerà a sostenere che le carte per il nuovo ospedale non si possono firmare, vorrà dire che Penta non è stato affatto trasferito per motivi personali. Credo che il profilo etico e morale di questa vicenda debba coinvolgere tutti». Ma davvero si può credere che il nuovo commissario, che mai si è occupato prima del dossier, possa (e voglia) dare il via libera a pochi mesi dalle elezioni?
Il nodo dei poteri
Penta, che fu nominato commissario provvisorio il 14 novembre, appena insediato disse di non voler tenere bloccato nulla, «i cittadini stiano tranquilli, non saranno mesi di paralisi». Ipotizzò di indire un referendum sull’ospedale e tre giorni dopo si sbilanciò: «Il Comune è in grado di mettere a disposizione i terreni, occorre una delibera consiliare di ratifica, che farò io. La qualifica di commissario straordinario mi conferisce gli stessi poteri del consiglio comunale». Ma la qualifica di commissario straordinario, anziché provvisorio, che solitamente viene firmata dal Presidente della Repubblica pochi giorni dopo la sospensione del consiglio comunale, non arriva. E Penta il 24 novembre appare assai più cauto: «Non so se ho i poteri per firmare, devo accertare la natura giuridica dell’atto». Il giorno successivo Zaia, con un dietrofront costato parecchio sul piano dell’immagine (il nuovo ospedale è l’opera più importante dei suoi dieci anni a Palazzo Balbi), è costretto a revocare il tavolo convocato per la firma dell’accordo di programma con l’Azienda ospedaliera, l’università e la Provincia. «Ho avuto modo di incontrare Penta e di apprezzarne la pubblica e dichiarata disponibilità a concludere l’iter» dice Zaia e insomma, la volontà c’è tutta ma mancano i poteri (e il consiglio, anziché essere sciolto come da prassi, resta sospeso). Da Roma tutto tace. Lo scontro si sposta nella capitale, sotterraneo ma durissimo, e si fa più acceso nelle ultime settimane. Da una parte, raccontano, il governatore. Dall’altro, il Pd e Degani, che pure dice di non saperne assolutamente nulla. Fino a ieri, quando Penta viene chiamato da Impresa (ma c’è chi dice addirittura da Minniti in persona) e costretto a lasciare, secondo alcuni. Per altri, invece, è lui, stanco del conflitto permanente in città, a chiamarsi fuori. L’esito finale non cambia. E Padova è di nuovo senza timoniere.
Marco Bonet Davide D’Attino – Il Corriere del Veneto – 27 gennaio 2017