Un concorso unico per la pubblica amministrazione. Da organizzare una volta l’anno. E mettendo in palio non i posti che si liberano via via coi pensionamenti, al netto del blocco parziale del turn over. Ma che consenta di «spostare» le truppe dove serve, negli uffici considerati strategici, e alleggerendo quelli che contano o conteranno di meno.
Passando cioè dalla ferrea logica della pianta organica a quella del fabbisogno. Più duttile e più utile. Sarà questa una delle novità contenute nel testo unico per il pubblico impiego, l’ultimo decreto attuativo della riforma della pubblica amministrazione, che il governo dovrebbe portare in consiglio dei ministri entro febbraio.
Dal concorsone unico dovrebbero restare fuori alcuni settori: scuola, forze dell’ordine, militari. Il grosso dei dipendenti, però, dovrebbe essere scelto con il concorsone. Al quale si arriverà per gradi, non prima del 2018. Non solo perché il decreto attuativo richiede i suoi tempi. Ma anche perché prima di procedere alle nuove assunzioni ci sono da risolvere due problemi che il governo Gentiloni ha deciso solo di rinviare. Nel decreto Milleproroghe all’esame del Parlamento sono stati prorogati i contratti di 40 mila precari della Pa. Ed è stata rinviata di un anno la scadenza della graduatorie per i concorsi fatti negli anni scorsi, mantenendo in sala d’aspetto la bellezza di 4.500 vincitori e di 151 mila idonei. Che ne sarà di loro? Saranno scavalcati dai vincitori del nuovo concorsone o manterranno la precedenza? La decisione non è stata presa. Ma è possibile che si arrivi a un compromesso, assegnando nel concorsone un punteggio supplementare ai precari, proporzionale all’anzianità di servizio. Più difficile la soluzione per i vincitori di concorso, che hanno diritto al posto ma sono rimasti fuori per la stretta sul turn over. Mentre sarà dura per gli idonei, che sono così tanti. Si punta tuttavia a riaprire un canale per ringiovanire una pubblica amministrazione con un’età media che sta per superare i 50 anni. Ma anche renderla più efficiente. Perché alla fine, come diceva Ronald Reagan, il «contribuente è uno che lavora per lo Stato ma senza aver vinto un concorso pubblico». Forse esagerava. Ma in fondo aveva ragione.
di Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 23 gennaio 2017