Sotto quota 300mila, costretti a pagare contributi più alti e senza paracadute in caso di perdita del lavoro. È l’istantanea del popolo dei co.co.co che, in uno scenario economico ancora difficile, iniziano l’anno con due certezze: l’aumento dei contributi per gli iscritti in via esclusiva alla gestione separata, con l’aliquota da versare che arriva al 32,72% (due terzi sul committente e un terzo sul collaboratore), e l’archiviazione a oggi dell’indennità Dis-Coll che, in via sperimentale nel 2015 e nel 2016, aveva assicurato una copertura ai co.co.co “esclusivi” disoccupati con almeno tre mesi di contributi.
Nel 2015 le domande presentate all’Inps sono state 25.337, mentre l’anno successivo ne sono arrivate 20.236.
All’orizzonte il Jobs act degli autonomi che, dopo l’impasse legata al cambio di Governo, ha ripreso il cammino in Parlamento ed è ora sotto la lente della Camera con la previsione per i co.co.co di una serie di tutele sul fronte di maternità, malattia e congedi parentali.
«Dopo aver bonificato l’area grigia delle collaborazioni – sottolinea Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal (Agenzia per le politiche attive)- si deve ora completare il percorso di valorizzazione del lavoro autonomo genuino, giungendo in tempi rapidi all’approvazione del Ddl che colmerà una lacuna del nostro diritto del lavoro, introducendo per la prima volta uno Statuto del lavoro autonomo».
Ai minimi storici
A oltre un anno dalla “stretta” prevista dal Codice dei contratti (decreto legislativo 81/2015) il numero di collaboratori è sceso al livello storico pi ù basso: oggi se ne stimano circa 290mila, considerando il susseguirsi di attivazioni e cessazioni nel corso del 2016. Le prime sono state oltre il 15% in meno rispetto al 2015, percentuale che arriva a oltre il 40% nei confronti del 2014 e “cattura” gli effetti del semaforo rosso alle nuove collaborazioni a progetto scattato invece il 25 giugno 2015.
Il gap è ancora più marcato se si allarga l’orizzonte fino al 2009: si è passati dalle 806mila attivazioni di otto anni fa alle 406mila stimate per il 2016.
Dai dati sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro emerge poi che solo nel primo trimestre dell’anno scorso le nuove co.co.co sono state superiori a quelle concluse, e se si considera che “storicamente” la maggior parte delle cessazioni avviene nell’ultimo trimestre dell’anno (circa un terzo di quelle totali) è facile prevedere che si vada verso una consistente riduzione sia dei flussi sia degli stock di contratti di collaborazione.
I numeri – rielaborati dal centro studi Datalavoro per Il Sole 24 Ore – rispecchiano, come detto, la cancellazione della possibilità di stipulare nuove co.co.pro (mentre restano in vita quelle esistenti) e, dall’altro, la stretta sulle collaborazioni coordinate e continuative: dal 1° gennaio 2016 viene applicata la disciplina del lavoro subordinato anche alle collaborazioni “etero-organizzate”, quelle cioè in cui il committente partecipa alla definizione di tempi e luoghi di lavoro. Non è considerata genuina, per esempio, la collaborazione realizzata con lo svolgimento di larga parte dell’attività negli uffici del committente e con un orario sostanzialmente fisso.
Come per ogni buona regola, però, non mancano le eccezioni: la disciplina entrata in vigore un anno fa non si applica alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione ad albi, agli amministratori di società e sindaci, alle collaborazioni rese a fini istituzionali per associazioni ed enti sportivi.
Queste figure, insieme allo “zoccolo duro” dei 290mila co.co.co citati in precedenza, rientrano nell’universo dei parasubordinati iscritti alla gestione separata Inps, che nel 2015 contava poco più di un milione di persone, considerando anche amministratori di società e sindaci ( 500mila), dottori di ricerca (più di 50mila), collaboratori della Pa (oltre 39mila, esonerati fino al 2018), associati in partecipazione (30mila), solo per citare i gruppi più numerosi.
A essere fuori dalla stretta sono anche le collaborazioni espressamente escluse e disciplinate da accordi collettivi nazionali (è il caso di call center, recupero crediti, scuole private).
In generale, per i casi dubbi, si è aperto il paracadute della “sanatoria” senza sanzioni per assumere in pianta stabile i co.co.co (anche a progetto) e i titolari di partita Iva, con i quali siano in corso collaborazioni che non rispettano i nuovi canoni.
Può essere, dunque, che dietro il calo del numero di collaboratori registrato nel 2016 ci sia una parte di lavoratori passati nell’area del lavoro dipendente (non certificabile in assenza di numeri ufficiali), anche perché fino a dicembre dello scorso anno era possibile beneficiare dell’esonero contributivo per i datori di lavoro, con un taglio del 40% dei contributi per 24 mesi. Sanatoria che si potrà adottare anche nel 2017, ma solo per contratti di collaborazione esistenti al 1° gennaio 2016.
Francesca Barbieri – Il Sole 24 Ore – 23 gennaio 2017