Il negoziato va avanti, ma i segnali che vengono da Bruxelles continuano ad essere minacciosi: impegni precisi entro fine mese e un rapido provvedimento da 3,4 miliardi per evitare all’Italia la procedura d’infrazione. Così se da una parte il ministero del Tesoro difende la nostra politica di stabilizzazione del debito, dall’altra ha allertato da giorni i tecnici per mettere in campo una ipotesi di manovra-bis.
Gli obiettivi della nostra trattativa sono espliciti: più tempo e uno sconto sull’intervento. Si spera sempre di poter limitare il pacchetto ad un paio di miliardi e di poter dilazionare le misure in più provvedimenti: un mix di nuovi interventi ed emendamenti a decreti, da adottare da febbraio in avanti. In cucina c’è la rimodulazione amministrativa di fondi (valgono 2,9 miliardi), il colpo di freno a norme della legge di Bilancio 2017 ancora da attuare, oltre qualche limatura sulla spesa dei ministeri e al rafforzamento della spending review.
Un lavoro affidato all’esperto e affilato bisturi della Ragioneria generale dello Stato abituata a mettere toppe nelle situazioni di emergenza dei conti pubblici. Naturalmente le prime misure che vengono passate al setaccio sono quelle che ancora non sono operative e, soprattutto, non sono state ancora erogate.
Si parte dai bonus, dagli studenti ai premi nascita, ma nelle ultime ore è entrato nel mirino anche il pacchetto pensioni. La materia è delicata perché il “protocollo” Nannicini, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro per l’economia di Renzi, è stato concordato e firmato dai sindacati. Oggi tuttavia la situazione è cambiata: il ministero del Tesoro ha in mano le redini della politica economica e l’ultimatum di Bruxelles lo pone in una situazione di massima responsabilità. Le forbici sembrano avere più voce in capitolo.
Così l’ipotesi, che deve trovare ancora un via libera politico, è quella di rinviare l’attivazione del pacchetto pensioni dalla data prevista di maggio a fine anno. Dunque un sacrificio di sei-otto mesi che non cancella le misure ma semplicemente le sposta in avanti nel tempo. Il pacchetto complessivo per il 2017 vale 1,7 miliardi: si valuta che si potrebbero recuperare 500 milioni con i quali fare un buon terzo della manovra. Va subito detto che l’Ape volontaria, che consente l’anticipo della pensione con prestiti bancari, non costa nulla allo Stato e dunque un eventuale rinvio sarebbe inutile. I tre anticipi pensionistici per precoci, disoccupati e lavori usuranti costano invece circa 740 milioni. Il rinvio del pacchetto Ape, la cui partenza è prevista per maggio e necessita ancora di 5-6 provvedimenti attuativi, sarebbe meno digeribile sul piano sociale anche se appetibile su quello finanziario.
Gli occhi sono dunque puntati sulla quattordicesima che la legge di Bilancio di Renzi assicura da quest’anno a 3 milioni e 375 mila pensionati fino a due volte il minimo. Il bonus è previsto per luglio e dovrebbe andare dai 101 ai 504 euro a seconda del livello dell’assegno. Il costo è di 800 milioni: la misura è per tutti, non tiene conto dell’Isee (cioè del patrimonio e delle rendite del pensionato) e questo aspetto fu oggetto di polemica durante il percorso della legge di Bilancio. Una delle ipotesi, oltre a quella del rinvio tout court, è quella di rimodulare l’aumento per fasce, trasformarlo in mensile e farlo slittare in avanti.
Repubblica – 20 gennaio 2017