Il leopardo delle nevi è una delle specie in pericolo di estinzione. Ne restano non più di 7 mila sparsi tra la Mongolia e le regioni himalayane dal Nepal al Bhutan (4 mila sono in Cina). Ma ora un filmato girato da una telecamera mimetizzata nella natura da studiosi cinesi nel Qinghai himalayano in Tibet ha lanciato un nuovo allarme: i leopardi delle nevi sono minacciati non solo dai cacciatori di frodo ma anche dai leopardi comuni che stanno salendo in alta quota e siccome sono più adattabili si stabiliscono nell’habitat oltre i 3 mila metri che era il regno dei «cugini».
Insomma, il fatto che per la prima volta i due grandi felini, quelli delle nevi ( Panthera uncia ) e quelli comuni, siano stati ripresi nello stesso territorio di caccia allo stato libero non è una buona notizia per il solitario leopardo delle nevi. Il filmato ha catturato le immagini di una femmina di leopardo comune con un cucciolo: segno evidente che non era a quella quota in Tibet in esplorazione o dispersa ma ci si era accasata. L’habitat naturale dei leopardi comuni è più in basso, in zone di foresta o boschi.
In Nepal è in corso un vertice di ricercatori e zoologi. Si aspettano che «il cambiamento del clima faccia salire la linea degli alberi penetrando nell’habitat roccioso dei leopardi delle nevi e richiamando quelli comuni». La previsione è che tra il 30 e il 50% dell’attuale habitat del leopardo delle nevi si trasformi e vada perduto. Il professor Sandro Lovari dell’Università di Siena ha detto al servizio Science & Environment della Bbc che «i leopardi delle nevi possono essere schiacciati tra la terra arida della zona himalayana più alta e la linea degli alberi che risale», richiamando il leopardo comune. La possibilità di convivenza tra i due grandi felini predatori è la disponibilità di cibo, aggiunge il dottor Weng Cheng dell’organizzazione cinese Shan Shui, impegnata nella difesa degli animali in Tibet: «La coesistenza o il conflitto dipendono dalle risorse, dall’abbondanza e dalla diversità delle prede».
Uno studio dell’Università di Pechino ha scoperto però un vero «santuario» dei 4 mila leopardi delle nevi sopravvissuti allo stato libero in Cina, nonostante i bracconieri e gli allevatori che difendono il loro bestiame. Questo santuario è costituito dalla rete dei monasteri tibetani, che a quanto è risultato sono più elastici ed efficienti dei pur encomiabili programmi governativi.
Il segreto è che i monaci dei 300 monasteri nella regione del Sanjiangyuan (360 mila km quadrati nel Nordovest della Cina), oltre a essere persone tranquille, considerano i leopardi sacri, da quando il Dalai Lama nel 2006 proibì di usare la loro pelle: da allora i fedeli tibetani hanno abbandonato il commercio redditizio. E le zone intorno ai monasteri himalayani sono diventate territorio sicuro per i grossi felini che non temono di avvicinarsi. Secondo il gruppo «Panthera», le aree tra i monasteri funzionano meglio delle riserve naturali. In più, i bravi monaci si comportano da guardie ambientali, pattugliando le zone di montagna abitate dai felini intorno ai loro centri di preghiera per assicurarsi che la vita selvaggia non sia attaccata. E c’è un ultimo vantaggio, dice lo studio di Pechino: i monasteri non seguono le divisioni amministrative cinesi della zona e quindi la rete di protezione non subisce disfunzioni burocratiche e falle. Tra i monasteri tibetani c’è quindi il vero «santuario» dei leopardi delle nevi.
Guido Santevecchi – Il Corriere della Sera – 18 gennaio 2017