Era partita come un’indagine da Csi: esami autoptici, analisi del Dna, ricostruzione degli spostamenti di un lupo travolto e ucciso da un’auto in una strada di campagna. E in una prima fase si era conclusa con la condanna di due allevatori per falso ideologico, importazione e detenzione illegale di specie protette dalla Convenzione di Washington. Ora ce ne sono almeno altri sette sotto indagine, con il timore concreto che cani lupo cecoslovacchi siano stati incrociati con lupi nordamericani (Wyoming, Alaska, Canada del Nord) ed europei (Carpazi e Scandinavia) e poi venduti in giro per l’Italia.
Esemplari che potrebbero rivelarsi pericolosi per chi li tiene in casa, anche se — spiegano i forestali, ora neo carabinieri, guidati dal colonnello Daniela Piccoli — «non criminalizziamo gli esemplari cresciuti fin da cuccioli da coloro che, ignari di tutto, li hanno acquistati e ai quali sono stati peraltro lasciati in affidamento».
Perché sono proprio i loro padroni le vittime della truffa scoperta dal Comando tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma (nel quale a inizio 2017 è confluito il personale della Forestale). Hanno pagato dai 1.500 ai 5 mila euro per comprare da allevatori disonesti cuccioli di lupi cecoslovacchi (razza selezionata, affidabile da quattro generazioni) fatti accoppiare con esemplari di lupi selvatici. Il tutto per rinforzare la specie, eliminare la patologia più comune del cane lupo — la displasia dell’anca — e fornire un aspetto più «lupino» all’animale, violando le norme dell’Ente cinofilia (Enci). I truffatori rilasciavano anche un pedigree dell’animale, completamente falso.
L’inchiesta è partita nel 2013 proprio dopo il ritrovamento del lupo morto: gli investigatori del Cites (che lottano contro il commercio di flora e fauna a rischio estinzione) hanno notato subito che non poteva essere nostrano. L’analisi del Dna ha poi confermato che si trattava di un incrocio con il «cugino» americano: la traccia decisiva dell’arrivo di cuccioli che un giorno saranno più grossi e pericolosi di quelli dell’Appennino. Da qui gli accertamenti in 120 allevamenti, dal Piemonte alla Calabria, con il sequestro di 42 ibridi e l’individuazione di altri 229 cani già comprati da privati. La procura di Modena è stata la prima ad adottare provvedimenti nei confronti di un allevamento a Serramazzoni dal quale è partita la contaminazione della razza. «Ora — dice il colonnello Piccoli — aspettiamo che anche altri uffici giudiziari facciano lo stesso».
«Così si creano degli animali più aggressivi e mai domestici»
«Il lupo non è mai un animale domestico. E nel caso scoperto dalla Forestale potrebbe essere anche più pericoloso del solito. Soprattutto se chi lo tiene in casa non è in grado di gestirlo». Parola di Federico Coccìa, presidente della Fondazione Bioparco di Roma, dove sono ospitati quattro esemplari — fratelli — di lupo italiano. «Rigorosamente puri ma a rischio estinzione», spiega.
Cosa si deve aspettare chi, senza saperlo, ha acquistato un cane incrociato con uno di questi animali?
«Innanzitutto per queste persone si tratta di una beffa: si ritrovano con un cane che immaginavano vicino per tutta la vita, ma non è quello che volevano. È un misto di razze, non c’è purezza. Il problema non è tanto se l’esemplare sia bello o brutto. Magari è bellissimo, ma potrebbe avere dei geni che ne aumentano a dismisura l’aggressività, nel momento in cui in lui prevale l’aspetto selvatico rispetto a quello domestico».
A cosa bisogna fare attenzione?
«Il maschio è molto più aggressivo, anche fra i lupi. E per loro vale il discorso del capo branco e del rispetto delle gerarchie. Portare un cane così imbastardito in un parco dove ci sono altri maschi potrebbe essere davvero un bel problema. Peraltro, essendo incrociato ha perso le sue caratteristiche, come la diffidenza e la territorialità».
Il lupo nordamericano è più pericoloso del nostro?
«Sicuramente è molto più grosso, ha la stazza di un alano. E il morso di un esemplare da 50-60 chili, con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Comunque non posso pensare a un lupo che sta in casa o al guinzaglio. Fa rabbia vedere che facciamo tanto per salvarlo e poi ci sono persone che invece lo commercializzano» .
Rinaldo Frignani – Il Corriere della Sera – 15 gennaio 2017