Quando nel 2009 il leghista Giorgio Gentilin lo sconfisse nella corsa a sindaco di Arzignano, disse di lui: «È uno bravo, ha governato bene». E anche oggi, nonostante siano ormai 6 anni che incrociano le lame in Regione, i consiglieri del Carroccio e di Forza Italia ammettono: «Studia, si prepara: se te lo trovi contro, sai che non sarà una giornata facile».
Stefano Fracasso, 52 anni, vicentino,insegnante di liceo che nel tempo libero si diletta con letture pubbliche di Zanzotto e Maraini, corse lungo gli argini del Guà e del Chiampo e salite sulle Dolomiti, da ieri è il nuovo capogruppo del Pd a Palazzo Ferro Fini. Prende il posto di Alessandra Moretti, che fu stella del Pd del Veneto ed ora è costretta a lasciare per via di una lunga serie di episodi infelici, ultimo dei quali il viaggio in India durante la discussione del bilancio («Sono malata» si giustificò con i colleghi).
Fracasso, ora tocca a lei. Ma troppi complimenti dagli avversari non rischiano di suonare stonati? Dicono di lei che sia fin troppo moderato.
«Spesso si fa confusione. Io sono moderato di carattere ma netto, nettissimo in politica. Qualcuno ricorda quando mai, prima di questa legislatura, l’opposizione fu capace di tenere inchiodata la maggioranza 4 mesi su una legge? Noi ci siamo riusciti con la riforma dell’Azienda Zero e non sono stati necessari radicalismi ed estremismi. Un gruppo è forte quando è unito e agisce di concerto e questo sarà il mio obiettivo».
È vero che lei è stato tra gli animatori della fronda contro Moretti nel feudo dell’ex capogruppo, Vicenza?
«Questa è una ricostruzione davvero fuori dalla realtà. Ricordo che nonostante le forti sollecitazioni ad esacerbare il clima che ci arrivavano da fuori, il gruppo regionale ha dimostrato una tenuta straordinaria nei giorni delle polemiche. Altro che fronda. Purtroppo la situazione è precipitata e stava trascinando tutti verso una profonda delegittimazione. Alessandra ha dimostrato grande senso di responsabilità».
Di fronte avete una maggioranza granitica, sostanzialmente monocolore. Come pensa di scalfirla?
«Dobbiamo portare fuori dal Palazzo i temi che dibattiamo in aula, coinvolgendo la società, e portare nel Palazzo i temi e le persone che oggi ne sono esclusi, andando oltre i nostri steccati tradizionali, la sanità, il sociale, l’ambiente. La fuga dei cervelli è un argomento che dobbiamo fare nostro, così come la nuova società multietnica. Dobbiamo confrontarci con interlocutori diffidenti, non sarà facile. Ci vorrà studio e tenacia».
Quindi non è vero che in consiglio si fa la bella vita…
«Col referendum costituzionale abbiamo perso l’occasione di dare ai consiglieri una retribuzione adeguata ma le assicuro che qui, se si vuole, si può lavorare parecchio, senza la visibilità di cui si gode altrove».
Dice Zaia che il 2017 sarà l’anno del referendum sull’autonomia. Un argomento su cui sembrate all’angolo.
«L’autonomia oggi è un titolo. Il contenuto dov’è? Noi siamo disponibili a ragionarci con Zaia, ma solo se lui uscirà allo scoperto e metterà da parte slogan e propaganda».
Referendum sì o no?
«Sì se è lo strumento, no se è il fine. Per Zaia oggi è il fine».
Altro tema delicato, dove il governatore e la Lega sembrano dare le carte, è quello dei migranti. Il Pd che fa?
«Zaia non dà le carte, se ne lava le mani. Ma si fa il bene dei veneti facendo sempre i “signornò”, anche nel caso dei piccoli Cie proposti dal ministro Minniti? Rifiutandosi ostinatamente di risolvere i problemi per cavalcarli? Io penso che il modello dell’accoglienza diffusa sia quello da perseguire e so che molti sindaci sono disponibili a fare la loro parte in tal senso. Ma il sistema funziona ed è credibile solo se lo Stato gestisce in modo appropriato la prima fase: identificazione e rimpatrio veloce di chi non ha diritto di stare qui».
Lei è vicentino e la questione delle banche popolari continua ad essere in primo piano, oggi con il capitolo degli indennizzi e la fusione.
«Penso che tolta la commissione d’inchiesta parlamentare, che va fatta in fretta, la politica abbia detto tutto quel che c’era da dire e fatto quel – poco – che poteva fare, Regione compresa. Anche la risposta della nostra imprenditoria purtroppo è stata molto debole così che ora ci troviamo a dover ringraziare un soggetto nazionale, il fondo Atlante, se non è finito tutto in un fallimento. È il momento di ricostruire. La fusione? Non mi convince: Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno sportelli, clienti e personale quasi perfettamente sovrapponibili».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 10 gennaio 2017