di Luca Mastrantonio. È sotto i nostri occhi, lambisce le nostre orecchie. Sempre più persone usano le «note vocali» («o messaggi vocali») per comunicare con il cellulare. Magari lo fate anche voi, e sapete di cosa stiamo parlando. Oppure no, ma vi è capitato di trovare sullo schermo, in chat, quei file audio con il triangolino del «play» che, schiacciato, riproduce la nota vocale. A volte, con grande imbarazzo, perché scatta il viva voce automatico e il contenuto — lo scoprite troppo tardi — era molto personale.
Registrare una «nota vocale» è infatti pericolosamente semplice. Si preme l’icona del microfono, in basso a destra dello schermo, si parla e poi quando si toglie il dito il messaggio parte, con dentro tutto quello che si è detto. Piccoli inconvenienti di una nuova forma di comunicazione che punta sull’oralità digitale.
E che impatto hanno le note vocali sull’italiano? A esser positivi, riducono le sgrammaticature dovute alla «graforrea» (parola usata dal linguista Giuseppe Antonelli per la logorrea in forma scritta) che sta trasformando «po’» in «pò»; a esser negativi, aumenta la pigrizia di chi non vuole organizzare nella scrittura il suo pensiero e vive come in un romanzo di George Orwell. Di fatto, è un puzzle di monologhi, uno spezzatino di telefonata. Con diversi pro e contro.
Microfono salvavita
Il vantaggio esistenziale è che le note si registrano non impegnando la vista: il che evita di buttarsi sotto le auto sulle strisce pedonali. Una nota vocale allunga la vita.
Pollice multitasking
Si può effettuare la registrazione con il pollice opponibile di una sola mano. L’altra è libera di cucinare, portare fuori il cane, prendere le chiavi… Logisticamente, è una svolta.
Cuffiette fondamentali
La regola universale è usare e far usare le cuffiette, perché altrimenti si rischiano figure davvero brutte quando si ascolta una nota. Anche per registrare la propria, comunque, è bene usare il microfono nel pulsante che regola il volume delle cuffiette, si evita di registrare rumori e suoni ambientali che coprono la voce e magari rivelano dettagli che era meglio tenere nascosti.
Silenzio assoluto in sala
Anche con le cuffiette, niente note vocali al cinema, a teatro, ovunque ci sia uno spettacolo che coinvolge l’udito. Poi, depenalizzano il linciaggio.
Autointercettazioni
A torto o a ragione crediamo sia difficile che possano registrare una nostra telefonata. Al telefono parliamo liberamente. Ma di fatto le note vocali sono come intercettazioni che consegniamo in pacchetti digitalizzati, archiviati, condivisibili. Quindi? Parlate (e bevete) responsabilmente.
Siate brevi e concisi
Un messaggio può essere riletto prima dell’invio, la nota vocale no. Parte appena si stacca il pollice dall’icona del microfono. Anzi, scappa, come i buoi dalla stalla… Il danno minore è una frase a metà, quello maggiore è un pensiero a voce alta che era meglio tenere per sé. Riflettete su cosa dire ed evitate la logorrea, aumenta il rischio di lapsus e rende pesante la conversazione. Il flusso di coscienza lasciatelo al romanzo Ulisse di James Joyce.
Riascoltarsi è utile
Molti trovano fastidioso sentire la propria voce registrata. Ma è utile avere un’idea di come si può venire percepiti: il tono rivela intenzioni nascoste persino a noi stessi. Parlate come una gatta morta con il collega? Appunto…
Viva l’empatia
A volerlo, vicino non è mai abbastanza. Tra un «buonanotte amore» scritto come milioni di persone e una nota vocale alla Francesco De Gregori «buonanotte, buonanotte fiorellino» non c’è partita. Le note favoriscono l’empatia, anche nei gruppi di chat, dove danno l’impressione che tutte quelle persone siano vicine, in una stessa stanza: buia, ma piena di voci amiche. Bisogna ascoltare gli altri però, sennò l’effetto è da seduta di alcolisti anonimi a distanza.
Il rischio entropia
Una ricerca di Ipsos Mori per Deloitte del 2015 sottolineava come i cellulari si usino sempre meno per parlare. Soprattutto perché arrivano domande («che fai stasera?») cui si deve rispondere in tempo reale («vado al cinema»): con i messaggi scritti in differita, invece, si può sfuggire facilmente («scusa x ieri sera, cell scarico, ero al cinema»); anche le note vocali danno la possibilità di questa discontinuità temporale: e allora più che un riavvicinamento alle conversazioni telefoniche, che richiedono un impegno emotivo e dialettico maggiore, le note vocali rischiano di essere telefonate a pezzi e anestetizzate.
Siate autentici
Il tono, scriveva Ludwig Wittgenstein nel Della certezza (1969) è fondamentale. Gli emoticon sono nati per suggerire chiavi interpretative psicologiche di un testo digitale. Ma per quanto pirotecnici, gli emoticon sono apatici rispetto alla voce di un individuo. Chi scrive «che ridere», «ah ah» o mette l’icona smile , magari non sta ridendo, è una risposta di cortesia ipocrita. Chi registra una risata, invece, sta realmente ridendo. È più difficile simulare, con le note vocali, tanto vale essere autentici.
Il Corriere della Sera – 10 gennaio 2017