A novembre l’Istat ha registrato 19mila occupati in più, essenzialmente donne e over50. Il tasso di disoccupazione è però tornato a sfiorare il 12% (siamo all’11,9%, oltre due punti in più rispetto al 9,8% dell’Area Euro – peggio di noi solo Cipro, Spagna e Grecia). E a preoccupare è anche la situazione giovanile, con una percentuale di under25 senza un impiego schizzata nuovamente al 39,4% (si è tornati, così, indietro, ai livelli di settembre 2015).
Gli inattivi, tra cui moltissimi scoraggiati, sono continuati invece a calare (sul mese, la contrazione è stata di 93mila unità); ma questa maggior partecipazione al mercato del lavoro, che va avanti dalla scorsa estate, non sta – purtroppo – sfociando in posti aggiuntivi: complice anche una ripresa economica che stenta a decollare e la riduzione degli sgravi sulle assunzioni (la decontribuzione ridotta al 40% si è esaurita a dicembre), nel trimestre settembre-novembre 2016, nel confronto congiunturale, a salire sono stati solo i disoccupati (+72mila persone ), a differenza degli occupati, segnati in riduzione di 21mila unità.
Allargando lo sguardo sull’anno, a spiccare tuttavia è anche qualche luce in più: le persone con un impiego sono cresciute dello 0,9%, pari cioè a +201mila unità, di cui 135mila hanno in mano un rapporto «permanente» (vale a dire, a tempo indeterminato), a testimonianza di come il Jobs act, a prescindere dalle polemiche politiche, abbia comunque creato uno “gradino” di occupati stabili. Che ha interessato sia donne che uomini, anche se quasi esclusivamente nella fascia d’età 50-64 anni; un fenomeno, quest’ultimo, esclusivamente legato all’allungamento dell’età pensionabile operato nel 2012 dalla riforma Monti-Fornero.
L’occupazione femminile è andata meglio nei settori del commercio e del turismo (in genere nel terziario); per l’industria invece la situazione è ancora in sofferenza, con molte imprese, piccole e grandi, impegnate in complicati processi di ristrutturazione e riconversione (per uscire dalla crisi e ripartire). Il lavoro autonomo è rimasto in mezzo al guado: sull’anno, l’occupazione è praticamente ferma (+7mila unità), e anche l’annunciata estensione di tutele e welfare è, a oggi, ancora in stand-by (il ddl Del Conte su partite Iva e professionisti, dopo l’ok del Senato, riprenderà solo oggi l’esame in commissione Lavoro della Camera – si veda l’approfondimento a pagina 13).
Per gli under25 il quadro è diventato a tinte fosche: con il 39,4% di tasso di disoccupazione, a novembre, restiamo inchiodati al terz’ultimo posto in Europa, dietro l’Italia ci sono solo Spagna (44,4%) e Grecia (46,1% – ma il dato è di settembre). La media dell’Eurozona è al 21,2%, e siamo distanti anni luce dai primi della classe, la Germania, che grazie alla formazione duale, conferma un tasso di senza lavoro stabile tra gli under25 al 6,7 per cento.
Il tasso di occupazione complessivo, a novembre, ha toccato il 57,3%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a ottobre; ma in salita è risultato pure il numero di persone senza un impiego: a novembre +57mila, pari a +165mila sull’anno. Ormai i disoccupati italiani si attestano stabilmente sopra quota tre milioni, è di 3.089.000, la fotografia di ieri.
Il governo vede il bicchiere mezzo pieno: «Sull’anno l’occupazione è in aumento e ci sono più persone che cercano un impiego», ha commentato il ministro, Giuliano Poletti, che si è detto però «preoccupato» per la situazione giovanile, «dove alla riduzione dell’inattività corrisponde solo un aumento della disoccupazione».
Le opposizioni sono andate però all’attacco: per Renato Brunetta (Fi) «il Jobs act è morto e sepolto»; e critiche pesanti sono arrivate pure dall’M5S e dalla Lega Nord.
Il punto è che il mercato del lavoro vive una fase «altalenante», ha sintetizzato Maurizio Sacconi (Ap). Di qui la necessità di interventi urgenti: «Va subito avviata la Fase 2 di Garanzia giovani – ha spiegato l’economista del lavoro, Carlo Dell’Aringa (Pd) -. Lo sgravio per l’alternanza può essere un primo passo. Ma vanno messe in campo politiche mirate, a partire dal taglio strutturale del cuneo e dal rapido decollo delle nuove politiche attive, chiamando a raccolta le Regioni: l’esito del referendum di dicembre non può bloccare l’azione di governo».
Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore – 10 gennaio 2017