Carlo Picozza. L’Italia degli imboscati non ammette eccezioni. Da Nord a Sud, anche se con percentuali diverse, c’è sempre qualcuno che approfitta grazie a un certificato medico o alla forzatura di una norma sacrosanta per alleggerire il suo lavoro. Nel settore pubblico la legge 104, che offre una serie di benefici ai disabili gravi e ai loro parenti, è utilizzata dal 13,5% dei dipendenti contro il 3,3% del settore privato. Nella scuola le “inidoneità parziali” non sono eccezioni così come nella sanità. E proprio nel settore sanitario Roma è la capitale anche degli esonerati dal lavoro della prima linea.
Assunti come medici, tecnici, ausiliari e, soprattutto, infermieri, sono finiti dietro una scrivania. Niente più in trincea. Niente notti, niente sala operatoria, no a turni stressanti né “giro letti” a pulire e a cambiare i pazienti. Nella Città eterna si concentra la percentuale più alta dei cosiddetti prescritti, addetti del Servizio sanitario pubblico, esonerati da guardie, turni e contatti con i malati. Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato si tratta di 16 addetti su cento (uno su sette), il doppio della media nazionale. Accade nelle tre aziende ospedaliere, San Camillo, San Giovanni e San Filippo Neri (ormai declassato a presidio), all’Umberto I, il più grande policlinico universitario d’Europa, e nella Asl del centro. Esoneri e non solo. Se a questi si aggiungono permessi, congedi parentali, assenze per patologie, la percentuale di fuga dalla “front line”, lievita intorno al 20 per cento.
Provare per credere. Al San Camillo, l’ospedale più grande della capitale, su 2mila 800 infermieri (3mila 800 dipendenti in tutto) sfiorano quota 500 gli esonerati dal lavoro per il quale sono stati assunti. Non sono assenteisti, sono impegnati nella settantina di ambulatori diurni, intorno ai 150 letti dei day hospital, nei servizi della Farmacia ospedaliera o, qua e là, dietro le centinaia di scrivanie; lontani comunque dal capezzale degli oltre mille ricoverati.
A nulla valgono le proteste di chi è costretto a lavorare di più per compensare le carenze di organico o i disservizi patiti da chi è ricoverato. La soluzione non si trova.
Un tentativo di sanare la situazione fu fatto con il contratto 1998-2001: promozioni solo per chi era impegnato in prima linea. Quindi niente soldi in più per chi aveva ottenuto di poter evitare i lavori più gravosi. Il tentativo fallì e gli scatti arrivarono per tutti anche grazie al pressing di politici e sindacati. In busta paga 200 mila lire in più di media e la beffa di dover appaltare all’esterno dei lavori “sporchi”. Oggi i servizi di assistenza diretta affidati alle cooperative sociali, ai cococo e alle partite Iva gravano sul Servizio sanitario del Lazio per oltre 250 milioni di euro. Una cifra enorme che ha vanificato il blocco del turnover imposto dal Piano di rientro dal deficit sanitario.
Piccoli cambiamenti stanno arrivando per effetto del decreto legislativo numero 81 del 2008 che prescrive al direttore generale di nominare il cosiddetto medico competente al quale ricorrere per gli esoneri. Il medico competente difficilmente può trasformarsi, vista anche la stretta legislativa sulla materia, in medico compiacente. Ma i danni del passato ormai sono difficilmente sanabili. E i disservizi continuano.
Repubblica – 9 gennaio 2017