Franco Pepe. Inizieranno negli ultimi giorni di gennaio gli screening gratuiti sui Pfas ordinati dalla Regione all’Ulss 8. «Abbiamo spedito già cento inviti dando la priorità ai più giovani», spiega il direttore generale Giovanni Pavesi. I primi 50 prelievi si faranno in un ambulatorio dell’ex ospedale di Lonigo a partire da lunedì 23 gennaio. I secondi 50 esami si eseguiranno sempre a Lonigo dal primo al 3 febbraio. «Speriamo davvero – dice Pavesi – che le persone invitate vengano tutte».
Gli screening successivi proseguiranno all’ospedale di Noventa, che è il secondo centro vicentino individuato da Venezia, assieme a Cologna Veneta e a Legnago, per porre in atto una campagna di analisi che dovrebbe fornire responsi importanti. I test dovranno, infatti, decifrare, sotto l’aspetto sanitario, l’effettiva incidenza dei Pfas sull’aumento di alcune patologie nelle zone contaminate dalle sostanze perfluoro-alchiliche riversate per anni nella falda acquifera dalla Miteni di Trissino, l’azienda indicata prima dal Cnr e poi dall’Arpav come principale responsabile del pesante inquinamento che avrebbe avvelenato un mare di acqua a una profondità di 70 metri creando un giacimento sotterraneo che potrebbe restare infetto per quasi un secolo e continuerà a fluire lentamente di un chilometro l’anno verso altre aree del Veneto, in particolare verso la provincia di Rovigo.
«Gli esami più prettamente clinici – chiarisce il dg – li faremo nel laboratorio analisi del San Bortolo. Gli altri test, più specialistici, di natura chimica, verranno effettuati dall’Arpav con gli strumenti messi a disposizione dalla Regione sulle provette che noi come Ulss Bericaprovvederemo a mandare». La strategia è finalizzata ad accertare se, dopo l’installazione, da parte della Regione, dei filtri a carboni attivi nelle tubature dell’acqua potabile, i valori patologici emersi nelle zone “contagiate” dai perfluori al veleno siano scesi sotto la soglia di sicurezza. Si parte dai dati della relazione spedita dal direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan (anche come presidente della commissione tecnica Pfas) ai tre assessori regionali Luca Coletto, Giampaolo Bottacin e Giuseppe Pan, alla segretaria regionale della programmazione, Ilaria Bramezza, al presidente della Provincia di Vicenza, Achille Variati, vale a dire il documento, approvato dalla commissione il 21 novembre, con cui si chiede di adottare «tutti i provvedimenti idonei a tutelare la salute della popolazione per rimuovere la causa di contaminazione individuata».
E il dossier in cui si evidenziano, come dato di fatto, i risultati, arrivati dall’Istituto superiore di sanità, sullo studio di biomonitoraggio prima dell’applicazione dei filtri anti-Pfas, e, in pratica, si richiamano alle rispettive responsabilità «tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti». Fra l’altro, lo studio, pur se resta da dimostrare il rapporto causa-effetto, citando il Registro nascite, mentre esclude un aumento dei tumori, pone l’accento sull’incremento delle gestosi in gravidanza, del diabete gestazionale, dei neonati sottopeso, dei prematuri, di disturbi del sistema nervoso e del sistema circolatorio e altri disturbi cromosomici, oltre alle patologie già rilevate in precedenza, fra le quali anche ipertensione, ipertiroidismo, colesterolo elevato, cardiopatie ischemiche e diabete mellito superio- ri del 20 per cento rispetto alla popolazione che non è esposta.
«Nessuna particolare novità – dichiara il dottor Mantoan -. Noi ci siamo mossi sempre con la massima trasparenza. Sono dati già presentati, che confermano le evidenze scientifiche di alcuni studi compiuti nella West Virginia e nell’Ohio Valley in zone ugualmente contaminate dai Pfas. Si tratta, peraltro, nelle nostre aree, di una situazione riferita al passato per i probabili effetti dei Pfas. Non esiste alcuna emergenza. E una fotografia retrospettiva su quanto accadeva prima del 2013. Da allora, con i filtri, l’acqua dei rubinetti è tornata pulita, e i disturbi dovrebbero essere rientrati. Per questo ora con gli screening osservazionali vogliamo dati reali e aggiornati».
Gli interrogativi per il futuro II sottosuolo contaminato e i dubbi sulla sede Miteni
II documento del 21 novembre ha sortito già effetti istituzionali. Il 28 dicembre c’è stata una riunione a Trissino fra il sindaco Davide Faccio, il capo dipartimento prevenzione dell’allora UIss 5 Adolfo Fiorio, il dirigente regionale per il sistema idrico Fabio Strazzabosco e rappresentanti della Provincia delegati dal presidente Variati. Sono tre i versanti sui quali si dovrebbe sviluppare ¡n questi mesi la questione Pfas. La procura dovrà indagare se i danni provocati alla salute della popolazione esposta possano configurare reati di natura penale. La Provincia dovrà verificare se ancora sia possibile far rimanere nella sede attuale o se spostare, con gli strumenti urbanistici previsti dalla legge, la Miteni, l’azienda “seduta” sulla falda acquifera, che, secondo lo studio del Cnr, avrebbe scaricato per decenni i Pfas, sostanze contaminanti che non esistono in natura e che, in base a evidenze scientifiche dimostrate, accelerano i processi metabolici causando malattie croniche. L’avvocatura regionale dovrà poi verificare, sul fronte del codice civile, in che modo Venezia potrà farsi risarcire le spese affrontate per rimediare ai danni procurati dai Pfas, dall’acquisto dei filtri fino agli screening che costeranno all’Ulss 600 mila euro. Sullo sfondo l’articolo 60 dello statuto regionale che impegna la Regione stessa a tutelare il patrimonio idrico del Veneto. Una norma che non può essere disattesa.
Il Giornale di Vicenza – 8 gennaio 2017