A guardare la distribuzione post natalizia dei lavori parlamentari tra Camera e Senato, risulta evidente che su Palazzo Madama graverà l’onere maggiore. Oltre alle riforme su processo penale e civile, che debbono passare al vaglio dell’assemblea, al Senato sono stati assegnati fra gli altri anche due pezzi da 90 come il decreto banche e il milleproroghe.
C’è chi sostiene che questa scelta nasconda la volontà di liberare la Camera da argomenti troppo ingombranti, per consentirle di dedicarsi alla riforma della legge elettorale. In realtà, a ben guardare, è vero l’esatto contrario. Proprio quando il confronto sulla legge elettorale entrerà nel vivo, a inizio febbraio, Montecitorio sarà chiamata al tour de force su i provvedimenti assegnati in prima lettura al Senato, visto che sia il decreto banche che il milleproroghe dovranno essere convertiti in legge entro febbraio (rispettivamente entro il 21 e il 28 di quel mese).
A voler essere maliziosi, si potrebbe quindi leggere nella decisione di assegnare al Senato l’iter iniziale dei provvedimenti di maggior peso, il retropensiero di voler rallentare i tempi del confronto sulla legge elettorale e quindi del ritorno anticipato alle urne. A confermare indirettamente questa interpretazione, c’è peraltro la decisione assunta dall’ultimo ufficio di presidenza prima di Natale dalla Commissione Affari costituzionali della Camera di rinviare l’avvio del confronto sulla legge elettorale a dopo la pronuncia della Consulta del 24 gennaio. Peccato però che proprio la commissione Affari costituzionali, in quelle stesse settimane, a cavallo tra gennaio e febbraio,sarà chiamata ad occuparsi in sede referente del milleproroghe, che, trattandosi di un decreto in scadenza, avrà la priorità. Ecco dunque concretizzarsi il rischio di un ingorgo a Montecitorio sui principali temi dell’agenda politica ed economica.
Per sventarlo Matteo Renzi potrebbe chiedere al Pd di presentarsi al prossimo ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali, che si terrà martedì, ribaltando la posizione espressa in precedenza, ovvero proponendo di cominciare subito il confronto sul post Italicum. Un’inversione di rotta che non è detto vada in porto, visto che a chiedere il rinvio oltre al Pd erano stati anche il M5s e Fi. Ma anche qualora l’operazione riuscisse, l’avvio dei lavori sul post-Italicum di fatto si limiterebbe ad anticipare i tempi delle audizioni degli esperti. Resterebbe invece insuperabile l’ostacolo rappresentato dall’arrivo in seconda lettura dei decreti sui quali si concentrerà l’attenzione della Camera a scapito della riforma elettorale e di quanti, a partire dal segretario del Pd, tifano per un ritorno rapido alle urne.
Barbara Fiammeri – Il Sole 24 Ore – 8 gennaio 2017