Spostare la Miteni e cambiare gli strumenti di pianificazione di tutti gli enti interessati. Sono queste le misure strutturali che devono essere prese dalle istituzioni, nell’ambito di una tempestiva azione di provvedimenti urgenti a tutela della salute della popolazione volti a contrastare gli effetti dell’inquinamento da Pfas. A dirlo la Commissione tecnica che si occupa delle sostanze perfluoro-alchiliche, secondo la relazione agli assessori regionali competenti che era rimasta sinora riservata.
D’altronde la stessa commissione riafferma che «la principale fonte di pressione ambientale» è proprio l’azienda chimica di Trissino e spiega che nello scarico nel Fratta-Gorzone del «tubo» che coinvoglia anche i reflui del depuratore di Trissino, a cui è collegata la «Miteni», i valori di Pfas sino al maggio dello scorso anno superavano sistematicamente i limiti poi proposti dal ministero dell’ambiente. La commissione, d’altro canto, punta il dito anche verso la barriera idraulica realizzata a valle di Miteni, perché consentirebbe concentrazioni della contaminazione superiori alla soglia prevista, e ricorda che già nel 1977 l’azienda, che allora aveva altri proprietari e si chiamava Rimar, aveva provocato versamenti di sostanze chimiche nell’ambiente. Secondo i tecnici regionali, d’altro canto, la prima cosa da fare è riprendere in mano e rivalutare nei suoi contenuti l’Autorizzazione integrata ambientale che è stata rilasciata a Miteni dalla Regione nel luglio del 2014. Questo via libera di Venezia permette all’azienda di continuare la sua attività. E questo sia «a seguito alle risultanze sulla salute della popolazione», sia perché ci sono limiti più restrittivi per quanto riguarda gli scarichi e sia perché anche i Pfas a catena corta che vengono attualmente prodotti da Miteni secondo l’Istituto superiore di Sanità, sono dei «contaminanti indesiderati che non dovrebbero essere presenti nelle matrici ambientali, tra le quali l’acqua e gli alimenti destinati al consumo umano e non solo».
L’Arena – 6 gennaio 2017