Saltano i fondi extra per le cure dei malati oncologici e le indennità al personale dell’emergenza
Il ministro Schillaci: “Stanziati 4,2 miliardi in più”. Ma le Regioni e i sindacati non ci stanno
Prima una manina che sfila dal pacchetto degli emendamenti del governo quello messo lì dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, per rifinanziare con appena 10 milioni il Piano oncologico per il 2023, altrettanti l’anno successivo. Soldi che servono per prevenzione, diagnosi e assistenza di 3,5 milioni di malati di cancro. Poi la stessa mano, lesta, fa sparire l’altro emendamento annunciato sempre dal titolare della salute: 200 milioni di indennità speciale a medici e infermieri del pronto soccorso. Che lavorano come pochi, non fanno attività privata, hanno quindi redditi inferiori a molti loro colleghi e per questo sono in fuga dalla prima linea dell’emergenza-urgenza. «Il vero problema è che i giovani da avviare alle scuole di specializzazione non sono più attratti da quelle come medicina di emergenza e urgenza o anestesiologia, per cui dobbiamo cercare di rendere più attrattive queste specialità», dichiarava qualche giorno fa Schillaci a La Stampa. Un segnale di attenzione verso i medici sull’orlo di una crisi di nervi che alla fine non si è visto.
È proprio dai particolari che si misura la differenza tra gli annunci elettorali e la realtà della “Melonomics” (la politica economica del nuovo governo) applicata alla sanità. «Sviluppo della sanità di prossimità e territoriale; incremento dell’organico di medici e operatori sanitari; estensione delle prestazioni esenti da ticket» e perfino «aggiornamento del piano oncologico»: è il programma sanitario del centrodestra, ma potrebbe essere attribuito anche alla sinistra.
Il problema è che poi in manovra dei 2,2 miliardi in più di finanziamento restano appena 800 milioni perché 1,4 se ne vanno per il caro bollette. E con quello zero virgola qualcosa del fondo sanitario bisogna recuperare decine di milioni di prestazioni saltate con il Covid, arginare la fuga dei medici dagli ospedali, assumere personale nelle case e negli ospedali di comunità: le prime destinate a far filtro rispetto agli ospedali, facendo lavorare in team medici di famiglia, specialisti e infermieri, i secondi per dare una risposta ai pazienti fragili che non hanno più bisogno di restare in corsia ma nemmeno possono essere abbandonati a casa senza assistenza. «Con la necessità di aiutare famiglie e imprese stritolate da inflazione a caro bollette sinceramente non si poteva fare di più» si difende il ministro Schillaci. Attento a ricordare che «la sanità è stata definanziata dal 2013 al 2019, mentre qui abbiamo il maggior rifinanziamento di sempre: 4,2 miliardi in più, considerando quelli già programmati» dal governo Draghi. Una conta che non convince più di tanto le Regioni, che lamentano un buco di 3,8 miliardi per maggiori spese pregresse per Covid e caro energia non coperte dal governo.
Ma il ragionamento di Federico Spandonaro, economista sanitario dell’Università San Raffaele di Roma, esperto tra i più accreditati, oltre che direttore del Cergas, si basa su altri numeri. «Dal Duemila ad oggi la nostra sanità ha viaggiato a un ritmo di crescita della spesa del 2,8% l’anno contro il 4,2% in media degli altri Paesi Ue e questo ha comportato una costante crescita della spesa sanitaria privata con conseguente riduzione del livello di equità del sistema di protezione». Il problema per Spandonaro non è tanto se si poteva o meno fare di più, «quanto il fatto che il Paese nel suo insieme non cresce, per via dell’enorme sommerso. Quindi bisognerebbe recuperare l’evasione e decidere quali settori possono dare un maggior contributo all’aumento del Pil. E uno di questi può essere a mio avviso proprio la sanità». Parole che cozzano con un altro capitolo della “Melonomics”, questo sì applicato in pieno, delle sanatorie fiscali. Ben 12 quelle finite in manovra.
«Siamo in una situazione di emergenza e invece la finanziaria risponde con misure ordinarie», rincara la dose Pierino De Silverio, segretario nazionale dell’Anaao, il più forte sindacato dei camici bianchi ospedalieri. «Il Covid ha fatto emergere il disamore dei medici per la sanità pubblica, generato da condizioni di lavoro e retributive sempre in peggioramento. Il nostro contratto 2019-21 è già scaduto e non ci hanno ancora convocato, anche se sappiamo che con 618 milioni sul piatto non si andrà oltre aumenti medi di 80 euro al mese. Mentre i vuoti in pianta organica costringono medici e infermieri a turni sempre più massacranti e le prospettive di carriera sono state pressoché azzerate dal taglio di ben 7mila unità operative in 10 anni». Poi però «si è avvantaggiato chi lavora a gettone nelle cooperative estendendo la flat tax fino a 85mila euro di reddito. Il dubbio che si voglia spostare la sanità verso il privato c’è». Anzi, per De Silverio «è già realtà, visto che oggi il 54% degli italiani si cura privatamente». E a chi non può permetterselo non resta che rivolgersi alla provvidenza. Come quando la parola welfare non esisteva. Pa. Ru. —
La Stampa