Nei circa 70 minuti di intervento e poi nei successivi 33 della replica del presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi davanti alla Camera per la fiducia, la sanità non è mai entrata. Fanno eccezione, come abbiamo scritto, le critiche alla passata gestione della pandemia alle quali, per altro, non sono seguite indicazioni molto chiare su come si procederà da qui in avanti, ad esempio sulle vaccinazioni, che non sono state mai neppure citate
Quando scrivevamo pochi giorni fa che la politica si è già dimenticata della sanità – dopo l’illusione che quanto accaduto con la pandemia potesse aver cambiato realmente la percezione del bene salute e del sistema che deve promuoverlo e tutelarlo – non avevamo, purtroppo, detto una sciocchezza.
Nei circa 70 minuti di intervento e poi nei successivi 33 della replica del presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi davanti alla Camera per la fiducia, la sanità non è mai entrata.
Fanno eccezione, come abbiamo scritto, le critiche alla passata gestione della pandemia alle quali, per altro, non sono seguite indicazioni molto chiare su come si procederà da qui in avanti, ad esempio sulle vaccinazioni, che non sono state mai neppure citate.
Nel dibattitto che è seguito al primo intervento, la sanità è stata sfiorata in alcuni interventi di parlamentari dell’opposizione…
– “Di salute, ahimè, in molti hanno smesso di parlare, ma le liste d’attesa sono un regalo ai privati della sanità e sono una negazione di fatto del diritto alla salute per tantissime persone”, Grimaldi (Misto);
– “Come intende onorare i medici e gli infermieri che tutti abbiamo applaudito oggi se non ha mai pronunciato le parole “sanità pubblica” e apre la strada all’autonomia differenziata?”, Scotto (PD);
– “…la difficoltà nell’accesso alle cure, anche in un sistema sanitario di tipo universalistico”, Gadda (Azione- Italia Viva);
– “Presidente, lei è riuscita a non dire assolutamente nulla di concreto e sostanzioso sul nostro sistema sanitario, anche subito dopo una pandemia”, Silvestri (M5S);
– “E a proposito di regioni e di contrasto al COVID, penso anch’io sia necessario fare chiarezza a proposito di sanità pubblica territoriale, a partire dalla Lombardia, che ha avuto tra l’altro, disgraziatamente, più vittime degli altri”, Tabacci (PD)…
E nella maggioranza, da segnalare solo l’intervento di un esponente di FdI, Edmondo Cirielli che, rivolgendosi al premier Meloni, ha voluto puntualizzare il tema del rapporto con le Regioni: “….la sanità non è soltanto la pandemia, la sanità oggi sappiamo è in mano alle regioni e lei ha fatto bene ad accennare al ragionamento dell’autonomia differenziata. Io penso che l’autonomia differenziata vada anche intesa dal commissariare politicamente, riaccentrare quelle competenze, a fronte di regioni incapaci di garantire il diritto alla salute. Anche questo è autonomia differenziata”.
Ma ovviamente queste poche frasi, pur se testimoniano che, se non altro, qualcuno si è ricordato della sanità, non sono bastate a riproporre il tema tra le priorità programmatiche del Governo. E lo conferma anche il fatto che la stessa Meloni non ha ritenuto di tornarci in alcun modo in sede di replica.
Una piccola fiammata finale si è registrata alla fine durante le dichiarazioni di voto dove l’assenza della sanità nel discorso del premeir è stata notata e stigmatizzata sia da Enrico Letta che da Giuseppe Conte. E infine va segnalato che Riccardo Molinari della Lega nel suo intervento finale ha voluto rimarcare la necessità di investire nella sanità pubblica.
Ma chi lavora in sanità, chi la governa a livello regionale e locale, e soprattutto i cittadini e i malati e il loro familiari, sanno bene che senza una costante attenzione alle criticità del sistema – poco personale, disparità qualitativa e quantitativa dei servizi tra una regione e l’altra, riforma della medicina territoriale che senza una nuova regolamentazione della medicina generale difficilmente vedrà a luce, e le molte altre cose che gli addetti conoscono bene – e senza, prima di tutto, la messa in campo di politiche di rilancio reali, a partire dalla scelta di garantire al sistema un finanziamento adeguato e costante che ci metta al passo con gli altri grandi paesi europei, la sanità pubblica italiana rischia veramente di diventare sempre più residuale.
E i medici e gli altri professionisti sanitari – che la politica, questo almeno lo fa, continua a ringraziare e applaudire (l’ha fatto oggi anche Meloni parlando del Covid) – penso che ormai di quegli applausi non se ne facciano più nulla.
Servono fatti concreti e attenzione e per ora, come temevamo, non se ne vedono.
Cesare Fassari
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