di Claudio Testuzza, Il Sole 24 Ore sanità. Viene comunemente denominato Tfr l’acronimo del trattamento di fine rapporto, ossia la prestazione economica che compete al lavoratore subordinato all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, per qualsiasi motivo, sia esso licenziamento, dimissioni, o raggiungimento dell’età della pensione. Si tratta di un compenso con corresponsione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Una sorta di salario posticipato calcolato per quote annuali. Per quantificare quanto Tfr spetta all’atto della cessazione del rapporto lavorativo occorre effettuare un “semplice” calcolo. Per determinare il montante totale occorre infatti sommare la retribuzione annua divisa per 13,5. Tale montante va poi aggiornato annualmente per “l’indice di rivalutazione” stabilito in misura pari al 75% dell’inflazione più 1,5% fisso.
Questa condizione esprime chiaramente che con un’inflazione bassa l’incremento del trattamento rimane modesto e spesso recupera la stessa inflazione solo parzialmente.
Ma, nel caso di inflazione elevata il recupero appare significativo.
È la condizione che si è realizzata negli ultimi anni, dove a fronte di un’inflazione intorno l’uno/due per cento annuo il Tfr ha maturato il solo vantaggio dell’1,5 % fisso, ma nell’ultimo anno i valori sono cresciuti rapidamente e in forma sostanziosa proprio a motivo dell’incremento del dato inflazionistico. Il coefficiente di rivalutazione del Tfr, per le cessazioni del rapporto di lavoro intervenute nel periodo 15 agosto 2022–4 settembre 2022 è stato fissato al 5,943503% (dato Istat). A settembre 2022 la percentuale utile per la rivalutazione del trattamento di fine rapporto maturato al 31 dicembre 2021 è pari a ben il 6,280367%!
A fronte di questo evidente incremento del Tfr i Fondi pensione hanno perso in nove mesi l’11,2%. Facendo nascere i dubbi sulla convenienza della previdenza integrativa.
Infatti la previdenza integrativa è stata frenata dalla crisi economica e il rendimento dei fondi pensione è andato a picco. È quanto è successo nei primi nove mesi dell’anno dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’esplosione dell’inflazione. Al punto che un Paese più avanzato sulla previdenza complementare, come la Gran Bretagna, ha visto crollare l’industria dei fondi pensione per crisi di liquidità. E non va meglio in altri Paesi anglosassoni che da sempre puntano molto sui fondi pensione per le loro politiche sociali. In Italia, da gennaio a settembre, oltre 300 fondi aperti, hanno perso mediamente l’11,2 % del proprio valore (dati Fida) a causa del crollo delle borse. Un tonfo che equivale a 8 anni di crescita graduale. In altre parole, chi ha investito soldi nei fondi 8 anni fa, oggi si ritrova la stessa somma versata. Peraltro al lordo dei costi di gestione, spesso poco trasparenti.
Ma la scelta di lasciare il Tfr in azienda non è sempre rosea come nell’attuale contingenza.
Ricordiamo che il pagamento del trattamento di fine rapporto è soggetto a tassazione. Infatti all’importo lordo del Tfr bisogna sottrarre le imposte obbligatorie per legge per ottenere il valore netto. In questo caso la tassazione non rientra nella dimensione dell’imposta sul reddito, quindi non è cumulabile, ma è previsto un trattamento fiscale distinto. In particolare, per il Tfr si applica la “tassazione separata”, considerando l’aliquota media relativa a tutti gli anni di servizio.
Inoltre, la liquidazione del Tfr per i dipendenti pubblici segue delle modalità restrittive. Innanzitutto, le tempistiche di pagamento del Tfr dipendono dal motivo che ha portato alla cessazione del rapporto di lavoro, secondo le seguenti opzioni:
– entro 105 giorni in caso di cessazione del servizio per decesso o inabilità;
– dopo 12 mesi dall’interruzione del rapporto lavorativo in caso di conclusione del contratto a tempo determinato, raggiungimento del limite anagrafico o pensionamento;
– dopo 24 mesi dalla cessazione del servizio negli altri casi, tra cui dimissioni volontarie e licenziamento.
Il fondo pensione, invece, attribuito immediatamente al momento del pensionamento, garantisce, inoltre, dei vantaggi fiscali significativi :
– i rendimenti maturati nel corso della gestione dei contributi subiscono un prelievo fiscale tramite tassazione sostitutiva pari al 12,5% sui rendimenti da Titoli di Stato e al 20% sui rendimenti da altri impieghi, mentre per tutti gli altri investimenti la tassazione è fissata al 26%;
– le prestazioni finali per i lavoratori del settore privato, cioè la pensione integrativa, sono tassate con un’aliquota pari al 15% che si riduce dello 0,30% all’anno per ogni anno di permanenza nel fondo pensione oltre il quindicesimo, raggiungendo un’aliquota minima del 9%.
Nel caso di Tfr conferito al fondo pensione, i rendimenti sono legati alle scelte di investimento dell’iscritto e del fondo, dunque non hanno una misura prestabilita. Gli aderenti a un fondo multi comparto, possono scegliere di destinare il proprio denaro a linee di investimento garantite con rendimenti più bassi, oppure a linee con investimenti maggiormente rischiosi e redditizi, che possono dare grandi soddisfazioni soprattutto nel medio e lungo periodo. Infatti il conferimento del Tfr al fondo, specie se fatto fin in giovane età, consente all’iscritto di sfruttare al massimo l’orizzonte temporale a disposizione puntando su comparti a più alto rendimento in fase iniziale, per poi consolidare la propria posizione negli anni immediatamente precedenti il ritiro dal lavoro, attraverso una linea di investimento meno rischiosa. Quindi chi ha iniziato a sottoscrivere fondi negoziali per assicurarsi una pensione integrativa da molto tempo può ambire ad ottenere, comunque, qualcosa di concretamente valido.