Si è concluso a Tivoli il V congresso elettivo del Sindacato Medici Italiani (Smi). Rieletta Pina Onotri a Segretario Generale e Liliana Lora e Fabiola Fini a Vicesegretarie nazionali. Sempre più donne ai vertici del sindacato. Alla nuova segreteria nazionale gli auguri di buon lavoro della Segreteria regionale SIVeMP e di FVM Veneto.
Si è concluso a Tivoli il V congresso elettivo del Sindacato Medici Italiani, rieletta Pina Onotri a Segretario Generale e Liliana Lora e Fabiola Fini a Vicesegretari nazionali, sempre più donne ai massimi vertici del sindacato. Completano la segreteria nazionale, Mario Iovane (segretario nazionale organizzativo), Donato Pulcini (tesoriere nazionale), Andrea Figà Talamanca (responsabile area dirigenza), Santina Bianchi (responsabile area specialistica ambulatoriale), Gian Massimo Gioria (responsabile area convenzionata), Renzo Giovanelli (responsabile area pediatria libera scelta). Presidente nazionale, Ludovico Abbaticchio.
Adottare tutte le iniziative per recuperare e valorizzare il ruolo del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta nell’ambito della riorganizzazione territoriale, assicurando agli stessi la centralità dell’assistenza territoriale. È l’appello che arriva dal Congresso dello SMI, il Sindacato Medici Italiani, che si è svolto a Tivoli nel weekend.
La Onotri ha annunciato una nuova stagione di mobilitazione a difesa di una sanità pubblica ed universale e a difesa dei diritti dei medici quali il diritto ai tempi di conciliazione vita/lavoro, la tutela della maternità e dell’handicap, il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro per i medici convenzionati, le pari opportunità.
Tra le priorità quella della carenza di personale: «Tre milioni di italiani sono senza medico di famiglia perché chi può fugge ed i giovani si guardano bene dallo scegliere la medicina di famiglia come professione» ha detto Onotri che ha a Sanità Informazione chiede «incentivi economici e organizzativi per i MMG che scelgono le aree disagiate». Sullo sfondo la questione delle Case di Comunità: secondo la riforma voluta dal ministro Speranza i MMG dovranno dividersi tra studio medico e Case di Comunità. Una soluzione che non piace allo SMI: «Si deve decidere se noi siamo medici che veniamo retribuiti a quota capitaria per prendere in carico il bacino di persone che ci sceglie liberamente o se possiamo anche essere medici a quota oraria che lavorano in strutture aziendali» spiega la Onotri.
Dottoressa, il vostro sindacato è in controtendenza con una guida tutta la femminile. Il tema delle pari opportunità tocca anche la sanità?
«In Italia non si fanno politiche di conciliazione vita – lavoro. La nostra professione è al femminile, il 60% dei medici è donna. Per una donna è molto più difficile conciliare vita e lavoro. Negli ordini, nei sindacati, in Enpam, le donne sono poco rappresentate. Io credo invece che porre l’accento sulle difficoltà che con la pandemia si sono accentuate è importate anche per la tenuta del Sistema sanitario. Le dimissioni volontarie nel comparto sanità – sociale sono aumentate del 41%, sono aumentate le dimissioni volontarie di medici ospedalieri e dei medici di famiglia. Alcuni vanno nel privato, altri abbandonano la professione. La difficoltà è diventata enorme: con la pandemia e la carenza di organici il lavoro si è triplicato, tutto questo diventa difficile da conciliare con la vita anche familiare e personale. Per le donne è ancora più difficile perché anche a parità di mansione i compensi non sono gli stessi. Al ministro uscente avevamo proposto di utilizzare le risorse previste nella missione 5 del PNRR per incentivare politiche aziendali sulle pari opportunità anche allargate al campo medico».
Vi convince la riforma della medicina territoriale con gli MMG che dovranno dividersi tra Casa di Comunità e studio?
«Assolutamente no. Noi siamo medici a quota capitaria. Si deve decidere se noi siamo medici che veniamo retribuiti a quota capitaria per prendere in carico il bacino di persone che ci sceglie liberamente o se possiamo anche essere medici a quota oraria che lavorano in strutture aziendali. Su questo bisogna essere assolutamente chiari. Pensare di dare l’assistenza ai nostri pazienti, metà nello studio e metà nella casa di comunità non ha senso. Se un paziente mi sceglie perché ha fiducia in me o perché, banalmente, sono più raggiungibile peer quale motivo dovrebbe venirmi a cercare nella casa di comunità. Se invece si vuole che i medici di medicina generale rivolgano la loro prestazione non ai pazienti in carico ma a coloro che affluiscono alla casa di comunità si può anche trovare la soluzione ma va cambiato il contratto e ridiscusso tutto».
Dal nuovo ministro si aspetta un cambiamento?
«Mi aspetto la volontà di investimento sul personale perché utilizzare i fondi del PNRR solo per fare un restyling edilizio non va bene. Possiamo costruire Case di comunità e ospedali ma se non abbiamo il motore che fa funzionare la struttura cosa ne facciamo? Mi aspetto che consideri i medici come elemento strutturale del sistema per poi investire sulla formazione e sugli incentivi economici perché siamo i medici peggio pagati d’Europa, solo la Grecia li paga meno. Bisogna rendere le condizioni di lavoro accettabili perché ci sono troppe falle sulla filiera organizzativa. Non si può pretendere da un medico di famiglia, come è stato fatto, di essere disponibile 12 ore al giorno sette giorni su sette e caricarlo di compiti impropri, né si può chiedere ai medici ospedalieri di lavorare senza rispettare le dovute pause di riposare. Il diritto al riposo dopo un’attività lavorativa è il diritto di ogni lavoratore».
A proposito di carenza di personale: interi paesi soprattutto delle aree interne sono senza MMG, e anche nelle grandi aree metropolitane si inizia a percepire questa carenza…
«La forte carenza di MMG si registra soprattutto nelle aree disagiate. Nelle aree metropolitane vengono lasciate prima le zone socialmente più difficili, le periferie. A questo punto bisognerebbe incentivare i professionisti ad andare in una determinata zona oppure quando vengono immesse nuove forze lavoro avere chiaro quali sono le zone più scoperte in modo da impedire che ci siano aree di iper concentrazione e altre sguarnite. Per disagiate come le isole, le zone di montagne, le periferie, bisogna prevedere un incentivo economico ma anche organizzativo».
Purtroppo, continuano le aggressioni al personale sanitario, i più coinvolti gli operatori del Pronto soccorso e le guardie mediche. La legge del 2020 non ha funzionato?
«Direi di no. Noi in tempi addietro, in modo provocatorio, avevamo chiesto la DASPO per chi aggredisce i sanitari nell’esercizio delle loro funzioni. La violenza non è mai giustificabile e tollerabile, ma in questo momento storico in cui i servizi ai cittadini sono ridotti e contratti e la gente non trova più risposta alle proprie esigenze, purtroppo se la prende con il personale. Nulla può giustificare le aggressioni, ma ciò avviene perché noi siamo lo specchio di un Sistema sanitario che non funziona. Questa aggressività delle persone è dovuta anche a un problema organizzativo che la politica non ha gestito».
È arrivato il momento di superare il corso di formazione in Medicina generale e istituire una specializzazione vera e propria?
«Noi lo stiamo chiedendo da sempre. I colleghi del corso di formazione devono avere pari dignità dei colleghi che fanno il corso di specializzazione. Noi vorremmo che il concorso per accedere al corso di formazione fosse integrato con il concorso unico nazionale per le specializzazioni. Il corso così come è strutturato non risponde alle esigenze moderne di formazione, non è in linea con quanto succede negli altri paesi europei. C’è una discriminazione tra chi entra in specializzazione e chi no. Il fatto che i due concorsi non si facciano in contemporanea provoca che si fa prima il concorso di formazione e poi quello in specializzazione e vanno perdute delle borse di studio. Basterebbero pochi aggiustamenti tecnici per risolvere questo problema: ma non si può più derogare a una specializzazione in medicina generale».