Non proprio un flop, ma sicuramente un “appeal” non troppo elevato. A poco più di due mesi e mezzo dalla conclusione della sua breve corsa, che dopo un solo anno di “servizio” si esaurirà il 31 dicembre (a meno di proroghe in extremis), Quota 102 si presenta con adesioni più basse di quelle ipotizzate al momento del varo dell’ultima legge di bilancio. L’Inps non ha fornito ancora nuove stime ufficiali, ma da dati ufficiosi emerge che all’inizio di settembre le richieste accordate non erano più di 6-7mila. E la previsione, sempre ufficiosa, indica in 10mila o poco più gli accessi al canale di uscita con almeno 64 anni d’età e 38 di contribuzione. Se questo risultato venisse confermato nei prossimi mesi, mancherebbero all’appello 6-7mila pensionamenti anticipati rispetto a quelli immaginati dal governo a fine 2021.
Un dato di cui dovrà necessariamente tenere conto anche il nuovo governo nell’affrontare lo spinoso capitolo previdenziale con la prospettiva di un ritorno alla legge Fornero in versione integrale dal 1° gennaio 2023 in assenza di nuove misure. Un ritorno osteggiato dalla Lega e dai sindacati, e non previsto neppure dal programma comune del centrodestra in cui tra le priorità è indicato il ricorso a forme di flessibilità in uscita.
La relazione tecnica dell’ultima manovra aveva quantificato in poco più di 170 milioni il costo per 12 mesi di Quota 102. Secondo i tecnici del governo Draghi, i nuovi requisiti per il pensionamento anticipato dopo la conclusione della sperimentazione triennale di Quota 100 avrebbero prodotto quest’anno 16.800 nuove pensioni, che sarebbero salite a 23.500 nel 2023, per poi scendere a 15.100 nel 2024, a 5,500 nel 2025 e fermarsi a mille assegni nel 2026. Il picco dei costi era previsto per il prossimo anno con quasi 680 milioni.
Ma fin dai primi mesi del 2022 si era capito che le adesioni sarebbero state più basse. Anche perché chi aveva convenienza ad uscire con 38 anni di versamenti lo aveva già fatto nei mesi precedenti sfruttando Quota 100, che pure ha chiuso i battenti con un risultato ben al di sotto delle aspettative: al 31 dicembre scorso il 45% delle domande accolte in meno rispetto a quanto ipotizzato nel 2019.
C’è anche da considerare che la fetta più larga della platea potenziale di Quota 102 si trova nel regime misto. Con la conseguenza che una quota molto ampia del trattamento è calcolata con il metodo di calcolo contributivo, dal quale deriverebbe una contrazione dell’assegno di circa il 3% per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia di vecchiaia. Il contenuto ricorso, almeno fino a questo momento, del canale di uscita introdotto dal governo Draghi non deve insomma stupire. Ma è una chiara indicazione per le scelte che dovranno essere compiute nelle prossime settimane. I sindacati spingono con forza con l’obiettivo di un’immediata riapertura del tavolo appena insediato il nuovo governo con due obiettivi precisi: no al ritorno alla “Fornero” in versione integrale e anche a un prolungamento di Quota 102.