Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore. Non sarà facile. Il battesimo del fuoco per il governo che riceverà la fiducia dal nuovo Parlamento dopo la vittoria del centrodestra nelle urne è la legge di bilancio più complicata degli ultimi anni, nei numeri da gestire e nei tempi di approvazione resi strettissimi dall’inedito voto autunnale. Le cifre di base su cui costruire l’impianto della manovra saranno definite a ore dalla Nadef, con la fotografia dei saldi di finanza pubblica per il 2023: cifre parecchio impegnative.
Il punto chiave è dato dalla crescita colpita da guerra e inflazione. Nello scenario base, la previsione per il 2023 si attesterà quasi due punti sotto il +2,4% posto come obiettivo dal Def di aprile. In soldoni, significa che il deficit di partenza non si fermerà al 3,9% del Pil come previsto, ma volerà sopra quota 5% spinto anche dalle spese per l’adeguamento delle pensioni all’inflazione (servono circa 5 decimali di Pil più del previsto, intorno ai 10 miliardi) e da un costo per gli interessi sul debito che cresce (anche) per le strette continue nella politica monetaria.
Di tutto ciò in campagna elettorale non si è parlato, anche se proprio questi fattori hanno spinto la leader di Fdi Giorgia Meloni a tarpare le ali dello scostamento chiesto a gran voce dalla Lega. In ogni caso, la strada del governo si decide qui e ora, per una ragione ovvia: un deficit sopra il 5% è molto vicino al 5,6% tenuto saldo dal governo quest’anno, quando però una crescita ancora sostenuta ha aiutato a realizzare una riduzione del peso del debito che si rivelerà ancora maggiore rispetto a quella fissata come obiettivo ad aprile (147% del Pil dal 150,8% dell’anno scorso). E un altro passo in questo percorso di discesa sarà indispensabile per non agitare ulteriormente mercati già assai in tensione per le incognite politiche che circondano un’Italia ancora super-indebitata e per l’affanno delle banche centrali nella lotta impari contro l’inflazione. I prezzi in volo daranno una mano anche il prossimo anno facendo lievitare un po’ il Pil nominale, base di calcolo del rapporto con il debito: ma lo faranno meno di quest’anno, auspicabilmente, perché le previsioni sono per un tasso intorno alla metà rispetto ai picchi del 2022.
Messi da parte i programmi elettorali, tranne qualche eccezione buoni per comizi e talk show più che per la realtà, occorre ora fare i conti con l’altro corno del problema, che cumula numeri ancora più alti. La legge di bilancio arriva nel pieno di un’emergenza inflattiva che non si spegne, e come primo compito avrà quello di far proseguire (e magari rafforzare, visto che molti nel centrodestra le hanno giudicate insufficienti) le misure anti-rincari che con il governo Draghi hanno cumulato 66 miliardi. Solo l’impianto dei crediti d’imposta per gli acquisti energetici delle imprese costa ai prezzi attuali 14 miliardi a trimestre, altri 3-4 miliardi servono per confermare l’abbattimento degli oneri di sistema sulle bollette, per lo sconto da 30,5 centesimi per ogni litro di benzina o gasolio servono 1,1 miliardi al mese, mentre la replica del taglio al cuneo fiscale ha bisogno di 3,5 miliardi all’anno. Lasciar scadere questi interventi senza replicarli o sostituirli con misure simili significherebbe ridurre di colpo il potere d’acquisto dei dipendenti e sconvolgere ancora i conti delle imprese.
Questa scalata contabile, per di più, andrà coperta in tempi record. Il nuovo Parlamento si insedierà il 13 ottobre, e in teoria due giorni dopo l’Italia dovrebbe inviare alla Ue il proprio programma di bilancio dopo che il Governo Draghi nella Nadef si limiterà al tendenziale a legislazione vigente. Un rinvio appare inevitabile. Ma in ogni caso per la legge di bilancio Governo e maggioranza avrebbero circa un mese di tempo, in cui andrebbe approvato anche un altro decreto energia a dicembre. La sfida è tale che c’è chi ipotizza una legge di bilancio solo tabellare, senza le misure che viaggerebbero per decreto tra dicembre e gennaio. Un’idea che però trova scarsi entusiasmi a Bruxelles.