Il Sole 24 Ore sanità, Stefano Simonetti. E’ stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 2022 la legge n. 118 del 5 agosto 2022, meglio nota come “legge Concorrenza 2021”. Ho precisato “finalmente” perché le vicende di questa legge sono state piuttosto travagliate e su questo sito,il 4 el’8 novembre 2021 e il 30 maggio scorso , ho provato ad illustrare tutti gli aspetti salienti della norma, contenuta nella legge, che qui interessa. Riguardo ai punti più controversi basti ricordare che in Senato sono stati presentati 63 emendamenti di cui uno solo è stato approvato, quello sulle selezioni nella Provincia autonoma di Bolzano (ultimo periodo nel nuovo punto a dell’art. 7-bs)
All’interno della legge Concorrenza, come è noto da tempo, era contenuto l’art. 18 (ora divenuto art. 20) che revisiona la procedura di selezione dei direttori di struttura complessa, i cosiddetti “primari”. Si tratta dell’art. 15 del d.lgs. 502/1992, il cui comma 7-bis – già modificato nel 2012 dalla legge “Balduzzi” – viene ora completamente sostituito. Devo innanzitutto prendere atto che le importanti scelte di merito del Governo sono state confermate in aula, circostanza di cui dubitavo, ma i fatti mi hanno smentito: vuol dire che la politica ha vinto sui partiti. Ho detto “politica” intendendola con la P maiuscola perché molto spesso si è sentita l’affermazione “fuori la politica dalle nomine dei direttori generali” e di riflesso da quelle dei primari e non la trovo del tutto attinente perché la politica è la gestione della “cosa pubblica” e non esiste forse aspetto più delicato della tutela della salute in tema di cosa pubblica. Quello che doveva essere rivisto – come infatti è avvenuto, almeno su questa procedura – era l’intervento dei partiti, con i suoi interessi non sempre trasparenti, le spartizioni, le afferenze personali; la “Politica” è un’altra cosa e consiste in un inalienabile strumento per l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica. In buona sostanza, con questa nuova norma di legge – che entrerà in vigore il 27 agosto prossimo e cui le Regioni dovranno far seguire le proprie linee di indirizzo – i tre primari sorteggiati a far parte della commissione dovranno essere due di fuori regione e uno solo della medesima regione, ribaltando così la precedente proporzione e, inoltre, viene promossa la parità di genere. Il Direttore generale non avrà più la facoltà di conferire l’incarico al secondo o al terzo della graduatoria, previa adeguata motivazione, ma dovrà obbligatoriamente far vincere la selezione al candidato che ha conseguito il miglior punteggio. Non è da sottovalutare, peraltro, la disposizione sulla presidenza della commissione che prevede ora un automatismo (il più anziano) rispetto alla precedente elezione, perché si prevede che in caso di parità nelle deliberazioni della commissione prevale il voto del presidente. Con le nuove regole la selezione torna ad essere pienamente di natura concorsuale con il conseguente passaggio della giurisdizione al TAR e al Consiglio di Stato.
Per valutare tutte le novità, facciamo un passo indietro. Rispetto al DDL approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 novembre 2021, la prima evidente modifica riguarda la correzione di un plateale errore – perché, dunque, tale era – cioè quello di riferire tutta la procedura ai soli medici. La questione era stata segnalata su questo sito il 4 novembre stesso e mi piacerebbe credere che la mia osservazione abbia contribuito a far cambiare la disposizione. Detto questo, si riscontra un’altra notevole modifica rispetto al testo uscito dal Consiglio dei Ministri. Nella lettera a), quando si disciplinano le operazioni di sorteggio dei commissari è stata introdotta la previsione del rispetto della parità di genere e si precisa che qualora “la metà dei direttori di struttura complessa non è di genere diverso, si prosegue nel sorteggio .….”. In disparte dall’evidente refuso aritmetico – la “metà” dei direttori da sorteggiare è improbabile da realizzare – si potrebbe ritenere ridondante la precisazione perché già esiste per tutte le procedure concorsuali il chiaro disposto dell’art. 57, comma 1, lettera a) del d.lgs. 165/2001 che prescrive che le pubbliche amministrazioni “riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso”. E’ plausibile che l’emendamento intendesse la metà dell’intera commissione, compreso dunque il direttore sanitario, che avrebbe un senso grazie al previsto arrotondamento all’unità superiore, ma la norma parla proprio dei tre sorteggiati e non della commissione al completo. Non si comprende il motivo di aver elevato la percentuale di presenza femminile proprio in un procedura rispetto alla quale è di dominio pubblico la scarsissima consistenza numerica di primari donne (secondo i dati sindacali circa il 14/15 % del totale). Proviamo a fare un esempio con le discipline più a rischio. Dall’elenco nazionale pubblicato sul sito del Ministero risultano 266 primari di Ortopedia di cui solo 4 donne. In questo caso, seguendo le nuove procedure, il sorteggio potrebbe durare ore. In Neurochirurgia sono presenti 2 donne su 62 direttori ma in Cardiochirurgia ne risulta una sola su 66. In quest’ultimo caso il sorteggio sarebbe ovviamente inutile ma credo che la evidente predeterminazione del componente della commissione andrebbe ad incidere proprio sul principio della trasparenza e della aleatorietà, fermo restando che l’interessata dovrebbe gioco forza partecipare a tutte le selezioni del Paese. E’ vero che la norma si premura di precisare “ove possibile”, ma le considerazioni di cui sopra restano comunque valide. Non accenno nemmeno al rischio che potrebbe scaturire dall’aver utilizzato la locuzione “non è di genere diverso “ rispetto a quella già ricordata “riservano alle donne”, perché si spalancherebbero scenari inimmaginabili.
E allora, già che ci siamo, segnalo altre due improprietà presenti nel testo, peraltro contenute anche nella norma “Balduzzi” prima delle intervenute modifiche. Nella lettera b), riguardo all’eventuale scorrimento della graduatoria vengono utilizzati i termini “dimissioni o decadenza” invece dei più appropriati “cessazione del rapporto di lavoro”, in quanto comprensiva di tutte le causali di cessazione; questo a prescindere dal fatto che l’istituto della “decadenza” non ha riscontri legislativi o contrattuali nel vigente ordinamento giuridico della Sanità. Nella stessa lettera b) e nella successiva lettera d) si parla di “nomina”, termine che dovrebbe essere sostituito con le parole “conferimento dell’incarico” – utilizzato peraltro in altri passaggi della norma – perchè si tratta di un istituto di diritto comune contrattualizzato. La nomina è un atto unilaterale autoritativo che appare estraneo al rapporto di lavoro privatizzato che per i direttori di struttura complessa – come per tutti i dipendenti – si costituisce con la sottoscrizione del contratto individuale Per le aziende ospedaliero universitarie, invece. il termine “nomina” è formalmente corretto vista la presenza di docenti universitari che sono in regime di diritto pubblico e non contrattualizzati.
Non posso, infine, che ribadire le difficoltà che si presenteranno con la nuova procedura e segnalare per l’ennesima volta gli aspetti che potevano essere regolati da questo art. 21:
•risolvere l’annosa e surreale questione delle selezioni per i direttori di struttura complessa infermieristici e tecnico-sanitari per i quali la normativa del 2012 – oggi rivisitata – è sostanzialmente e formalmente inapplicabile;
•riguardo alla funzionalità delle commissioni, è noto che spessissimo i direttori di altre regioni non accettano l’incarico, in particolare quando gli uffici li informano che non è previsto alcun compenso (come avviene in molte regioni). Se il numero degli “esterni” aumenta, ovviamente aumentano anche le possibilità che la commissione non si riesca a costituire. Perché allora non fare esplicito riferimento all’art. 3, comma 12 della legge 56/2019, cosiddetta “Concretezza”, che considera l’incarico compito di istituto e, sostanzialmente, obbligatorio prevedendo però in modo chiaro e inequivocabile il diritto al compenso previsto dal DPCM del 2020 che, invece, attualmente non ha alcuna copertura normativa per le selezioni di cui stiamo parlando.