La Stampa. Almeno 35 persone sono state infettate da un nuovo virus in Cina a partire dal 2018. Il virus, denominato Langya (LayV) appartiene alla famiglia degli Henipavirus, la stessa a cui fanno capo il virus Hendra e quello Nipah, entrambi con elevata letalità. I primi dati suggeriscono che il nuovo virus non abbia la capacità di diffondersi efficacemente nell’uomo e che è meno aggressivo dei suoi parenti stretti. La notizia è stata riportata da ricercatori afferenti a diverse istituzioni cinesi sul New England Journal of Medicine. L’indagine che ha portato all’identificazione del nuovo virus è partita da una paziente 53enne ricoverata a fine 2018 per febbre e altri sintomi simil-influenzali in un ospedale cinese in cui era attiva la sorveglianza per infezioni potenzialmente di origine animale.
Da allora sono stati identificati 35 pazienti infettati dal virus nelle province di Shandong e Henan. Tra i 26 pazienti infettati dal solo virus Langya e di cui i ricercatori riportano le condizioni cliniche, tutti avevano febbre, circa la metà soffriva di stanchezza, tosse, anoressia, dolori muscolari, carenza di globuli bianchi; circa un terzo aveva nausea, mal di testa, vomito, carenza di piastrine, alterazioni della funzionalità epatica; meno di 1 su 10 problemi ai reni. Attualmente non esiste un vaccino o un trattamento per l’henipavirus; l’unica terapia è la gestione delle complicanze.
Non sono stati riportati decessi tra i 26 pazienti. Il virus non sembra capace di passare agevolmente da uomo a uomo: «Non c’era uno stretto contatto o una storia di esposizione comune tra i pazienti, il che suggerisce che l’infezione nella popolazione umana potrebbe essere sporadica», scrivono i ricercatori. Anche il tracciamento dei contatti dei pazienti non ha documentato nessun contagio. L’indagine tra gli animali entrati in contatto con i pazienti ha mostrato un’alta presenza del virus nei toporagni, che potrebbe essere un serbatoio naturale di LayV.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità comunque gli henipavirus sono classificati con un livello di biosicurezza 4, ovvero con tassi di mortalità compresi tra il 40 e il 75%. Molto più elevati del Covid.