Professione medico, una corsa a ostacoli. Qualche giorno fa Il Gazzettino aveva dato una panoramica dei problemi che assillano i camici bianchi: stipendi bassi, tante ore di lavoro, rischio di cause da parte di pazienti e agguerriti studi legali e società specializzate. Tutte concause della grande fuga dei medici dagli ospedali, ma anche ostacoli che frenano chi vuole accedere alla professione. Ed è così anche per i medici di famiglia. È il caso di C., che dopo i canonici 6 anni di università, presa la laurea in Medicina e chirurgia, è ormai quasi alla fine del percorso per diventare medico di famiglia.
L’APPRENDISTA
“Fare il medico di base? Mi piacerebbe. In questi due anni ho fatto tante sostituzioni, prima di arrivare al Pronto soccorso e convincermi che non è la mia strada. È che non so nemmeno se ce la faccio a reggere il ritmo di un medico di famiglia. Ma sai quante telefonate, mail e messaggi si ricevono in un giorno? Almeno 100. Di più nei periodi caldi, quando ci sono i picchi di influenza, ad esempio. E pensa che c’è chi si limita a mandarti una foto su whatsapp e vuole sapere che cosa ha e che cosa deve prendere, e c’è chi ti telefona dieci volte al giorno per due linee di febbre e si lamenta che trova sempre occupato. Ognuno di loro pensa di avere il medico a sua completa disposizione e non sa che ne abbiamo altri 1799 da seguire. E poi le richieste di esami e le ricette. E i certificati di malattia e quelli per l’accompagnatoria. E quanti ti arrivano chiedendo quel tal farmaco che hanno trovato in internet e tu perdi tempo a spiegargli che non ha senso, che fa male”.
I RITMI DI LAVORO
“A volte devi litigare perché hai a che fare con gente che non vuol capire. Insomma in 10-12 ore ce la fai a malapena a star dietro al diluvio di richieste e se va bene in una giornata hai visitato sul serio 4-5 pazienti, non di più. Credo che il problema nasca dal fatto che ci siamo convinti di poter avere tutto e subito. Ordini una cosa via internet e il giorno dopo te la recapitano a casa. Senza attese. E così tutti si sono convinti che tutto sia a portata di mano. Anche la medicina. E questo comporta uno stravolgimento dei rapporti tra pazienti e medici. Ma, almeno, nel caso dei medici di base per ora non ci sono le cause dietro l’angolo, quelle che non ti fanno dormire la notte per paura di finire in galera”.
Finora infatti medici di famiglia non hanno dovuto fare i conti con gli avvocati, ma forse è solo questione di tempo prima che i “commerciali” degli studi legali a caccia di soldi facili scoprano i medici di base.
IL NUMERO DI PAZIENTI
E pensare che solo fino a qualche decina di anni fa c’erano neolaureati che pagavano i medici che stavano per andare in pensione per prendere la loro “condotta”. Sborsavano 20, a volte 30 milioni di lire, per subentrare ai “vecchi” colleghi. In questo modo si ritrovavano dalla sera alla mattina “seduti” su una miniera di 1.500 pazienti che procuravano uno stipendio fisso mensile che negli ultimi anni è arrivato a 7 mila euro lordi al mese. Tanti? Tantissimi, se uno decide di non vivere più – sintetizza Franco Fabbro, medico di base a Marghera, il quale avrebbe potuto restare a lavorare fino ai 70 anni, osannato dai suoi pazienti che sarebbero stati disposti a pagare di tasca loro pur di tenerselo. E invece se n’è andato due anni prima della scadenza, perdendo un bel po’ di soldi di pensione, “perché i soldi non bastano a convincerti che il tuo mestiere non è più curare, ma compilare carte. La nostra professione è stata svilita in tutti i modi. Non siamo più medici, siamo diventati “impiegati” delle Ulss, pagati per curare i bilanci pubblici e non i nostri pazienti. Siamo cioè diventati burocrati, medici delle carte. Il tempo di cura, di ascolto, di relazione si è ridotto moltissimo, diventando una parte insignificante, forse nemmeno il 10 per cento del totale, sostituito dal rapporto con il computer e con i quotidiani ordini di servizio dell’Ulss che ci ha trasformato in esecutori dei protocolli e delle linee guida. Non sono più libero di decidere nulla per il mio paziente. Sono una cinghia di trasmissione di decisioni prese da un apparato burocratico che ha a cuore solo le statistiche e che mi soffoca con continue richieste che non hanno nulla a che vedere con la cura del paziente. Ecco perché dico che i soldi non bastano. Me ne puoi dare il doppio, ma se non posso fare il medico, il medico che cura, allora comunque lascio. Ho studiato per curare, non per passare la mia vita davanti al computer senza il tempo di guardare in faccia il paziente. Questo è il male oscuro della professione”.
I PROBLEMI
Rincara la dose il dottor Federico Cesaro: “Il medico di base nasce per prendere in carico il paziente dal punto di vista sanitario e sociale. Anche sociale, non dimentichiamolo, perché molti anziani hanno bisogno di un aiuto che non è fatto solo di medicine, ma soprattutto di attenzioni. Per questo mi è sempre piaciuta questa professione, perché deve offrire aiuto e sicurezza. E questo non ha nulla a che fare con le statistiche, i piani di cura, gli standard imposti dall’alto, che mi stanno trasformando in un impiegato della sanità. Non sono le cento telefonate per il mal di pancia che mi preoccupano, ma le telefonate dei pazienti che hanno chiamato il Cup per prenotare una terapia e il Cup li rimanda da me perchè ne servono due di prescrizioni visto che andrà in due posti diversi a fare la terapia. Ma in questo modo il mio paziente paga due ticket. E qualche volta non ha i soldi nemmeno per pagarne uno. E il Covid ha ingigantito i problemi. Il carico di lavoro burocratico è insopportabile. Ha senso? E il fascicolo sanitario elettronico, che dovrebbe contenere tutti i dati clinici del mio paziente, c’è qualche medico di base che riesce a consultarlo?”
“Per questo un medico come me abbandona prima del compimento dei 68 anni, due anni prima del limite massimo – conclude il dottor Franco Fabbro. Si perdono 5/600 euro al mese in questo modo, ma almeno si torna a vivere, altrimenti diventi un medico di famiglia senza famiglia, perchè non ce la fai nemmeno a vederli in fotografia i tuoi figli. E finisco chiedendomi dove abbiamo sbagliato noi stessi, mi piacerebbe che qualcuno del sindacato dei medici di famiglia facesse autocritica visto che abbiamo continuato ad accettare di tutto e di più, arrivando nel giro di qualche anno a non avere più tempo per i pazienti. Siamo stati al centro di uno scontro tra etica e burocrazia e ha vinto la burocrazia. E il sindacato dei medici di famiglia ha opposto una blanda resistenza a questa deriva”.
MENO DELLA METÀ DEI POSTI LIBERI COPERTA DAI SOSTITUTI: PIÙ PAZIENTI
Oggi meno della metà dei posti lasciati liberi dai medici di base viene coperta dai nuovi medici di famiglia. Con il rischio, sempre più concreto, che i pazienti non trovino più un medico di famiglia nel loro quartiere e siano costretti ad emigrare nelle città vicine e magari da Mestre essere costretti ad andare a Spinea o a Mirano per una ricetta.
E da quando la Regione ha innalzato il tetto da 1.500 a 1.800 e fino ad oltre 2 mila assistiti, saranno sempre meno. C’è già qualcuno che chiede di scendere a 1.200 perchè non ce la fa nemmeno con i 1.500 pazienti che, a pensarci, sono un esercito. Un esercito composto sempre più da gente arrabbiata, rivendicativa, che vede il medico come un nemico. E non solo quelli che arrivano in ambulatorio con una “laurea” in Medicina presa consultando internet, ma anche quelli normali, che fino all’altro giorno erano comprensivi, sono diventati cattivi. Pare che sia scattata una follia collettiva contro i medici. In ospedale e pure negli ambulatori.
E dunque? Giovanni Leoni indica come ricetta il raddoppio degli stipendi. Franco Fabbro lo stop alla burocrazia per restituire tempo all’ascolto e alla cura. Entrambi concordano sul fatto che sia arrivato il momento di dire ai cittadini che la sanità pubblica fatta di decine di ospedali sotto casa, che non riescono più a tenere aperti i battenti non ha più senso e che bisogna investire, ma non in strutture, semmai in medici e infermieri. E dunque che senso ha spendere più di 60 milioni per ampliare l’ospedale dell’Angelo costruendo l’Angelino? E spendere 40 milioni per l’ospedale di Dolo e altrettanti per quello di Mirano, che sono a due passi? Ma se l’unico problema che non ha la sanità pubblica è proprio quello dei muri? Anzi, le strutture pubbliche sono fin troppe e poi ci sono pure quelle private, decisamente sottoutilizzate. Ecco, mettere soldi sugli uomini invece che sui muri, questa sarebbe la vera rivoluzione della sanità pubblica. Anche se resta poi il problema “educativo”, come ha sintetizzato mirabilmente C. “Con Amazon e i social networks ci siamo abituati ad avere tutto e subito. E la medicina non fa differenza. Dunque, da qui in avanti, la strada sarà solo in salita”. In salita e senza medici.
Maurizio Dianese – Il Gazzettino