Alzata di scudi contro la proposta del governatore del Veneto, Luca Zaia, di reintegrare i sanitari no-vax. Dall’Ordine dei medici, oltre che dal personale ospedaliero, è un no secco: «Pessimo messaggio». E anche dall’opposizione in consiglio regionale la proposta viene bocciata: «Una scorciatoia irresponsabile», dice il Pd.
A fronte dei rilievi della Corte dei conti sui fondi inutilizzati per smaltire le liste d’attesa, il presidente della Regione in una intervista al Gazzettino ieri ha ribadito che il problema di fondo sta nella mancanza di manodopera e ha proposto di reintegrare al lavoro i medici e gli infermieri sospesi in quanto non vaccinati: «La loro pena l’hanno espiata, si faccia un ragionamento serio sul loro reintegro».
Reintegrare medici no vax: la proposta di Zaia, il no dei dottori
«Dal punto di vista morale riabilitare il personale che ha rifiutato la vaccinazione Covid sarebbe un messaggio pessimo per l’assoluta maggioranza di coloro che hanno rispettato e che rispettano le leggi e per le istituzioni che sono state deputate a farle rispettare», ribatte Giovanni Leoni, presidente della Federazione Cimo-Fesmed Veneto (il sindacato degli ospedalieri) oltre che presidente dell’Ordine dei medici di Venezia. Leoni sottolinea: «Dal 2008 ha preso avvio una fase in cui l’imperativo a livello nazionale e regionale era il taglio della spesa sanitaria con particolare riferimento a quella del personale. Tra il 2010 e il 2017 sono venuti meno 6.348 medici e odontoiatri e 10.373 infermieri. In Veneto a dicembre 2018 mancavano 1.300 medici solo nella dipendenza. La Regione Veneto si difende sempre richiamando l’errata programmazione nazionale, ma dal 2010 al 2015 ha avuto il Coordinamento nazionale della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni». Di qui l’affondo: «Sarebbe molto meglio se tutti i politici ammettessero le proprie colpe per aver sognato per anni di risparmiare sulla salute pubblica, utilizzando sempre meno medici e infermieri, lasciando il valore economico del loro lavoro ai più bassi livelli in Europa». Cosa fare per uscire dall’emergenza? «Destinare i soldi avanzati per le liste di attesa al personale in servizio ad esempio sotto la nuova voce di indennità di rischio biologico e raddoppiare il valore economico per le prestazioni aggiuntive volontarie».
A bocciare la proposta di Zaia è anche il Pd: «L’ipotesi di reintegrare 4.500 tra medici, infermieri e operatori no vax è allarmante – dice Anna Maria Bigon -. Con una mossa del genere si immetterebbe nel sistema un esercito di persone prive delle indispensabili protezioni, a danno dell’utenza, soprattutto quella più anziana e fragile». Secondo l’esponente del Pd «le emergenze della carenza del personale e delle liste d’attesa vanno risolte con soluzioni strutturali: si inizi a premiare gli operatori responsabili e vaccinati con condizioni salariali e di lavoro decenti».
Al Pd, intervenuto anche sulle liste d’attesa («Nessun recupero»), ieri sera ha replicato l’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin: «Penso che i consiglieri del Pd stiano prendendo un granchio. L’attività di recupero delle prestazioni è iniziata l’8 febbraio scorso». Quanto alla proposta di prorogare le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), Lanzarin ha sottolineato che «sono cessate per effetto di norma nazionale il 30 giugno 2022. La Regione ha comunque garantito alle Ulss la possibilità, fino al 31 dicembre, di conferire incarichi autonomi e libero professionali. Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno usato gli stessi strumenti nostri perché è la via imposta dalla legge e altro non potrebbero fare. La Regione Sardegna, invece, a statuto speciale, ha potuto emanare una legge per garantire la continuità delle Usca. Questo dovrebbe fare riflettere sulla differenza prodotta dall’assenza di accesso all’autonomia per tutte le regioni».
Il Gazzettino