Repubblica. La quarta dose, per chi è prevista, viene fatta oggi con i vaccini del 2021: quelli preparati con il coronavirus originario di Wuhan. Nessuna delle ditte ha ancora messo a punto una versione aggiornata per le varianti e le fiale in uso sono comunque molto efficaci nel prevenire la malattia grave, anche se proteggono poco dal contagio con Omicron. Se però fosse previsto un nuovo giro di iniezioni in autunno, il panorama potrebbe cambiare.
Sia Pfizer che Moderna e Novavax, i prodotti in uso in Europa oggi (AstraZeneca e Johnson&Johnson sono stati abbandonati) stanno studiando un vaccino aggiornato per la nuova variante. Le prime due hanno anche iniziato le sperimentazioni sugli uomini, a gennaio. L’Ema, Agenzia europea per i medicinali, attende i dati di sicurezza ed efficacia tra aprile e giugno. E solo allora si capirà se varrà la pena di mettere in produzione un nuovo vaccino o converrà mantenere quello di oggi. «Una possibile approvazione potrebbe arrivare in estate» ha detto Marco Cavaleri, responsabile dell’Ema per i vaccini e i farmaci anti Covid.
Al momento le persone immunodepresse e fragili sono le uniche in Italia per le quali è previsto l’ulteriore richiamo. Negli Stati Uniti Pfizer ha chiesto l’autorizzazione a somministrare la quarta dose alle persone con più di 65 anni. Moderna invece ha chiesto di estendere la quarta iniezione a tutti. La Food and drug administration americana dovrebbe esprimersi ad aprile, ma è tutt’altro che scontato che ceda alle pressioni delle aziende.
Nel frattempo le case farmaceutiche lavorano al vaccino aggiornato a Omicron. Tecnicamente, l’operazione è abbastanza semplice. La sequenza dell’Rna che viene iniettata nel nostro organismo va corretta, per essere fedele a quella della proteina spike della nuova variante, che ha accumulato una trentina di mutazioni rispetto ai tempi di Wuhan. Per sperimentare il vaccino aggiornato, ottenere l’ok dalle autorità regolatorie e poi avviare la nuova produzione sono però richiesti alcuni mesi. Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, stima che le prime fiale saranno pronte ad agosto, in tempo per un’eventuale campagna d’autunno. Pfizer aveva parlato di primavera-estate.
I primi dati ottenuti dai test animali, però, non mostrano un grande guadagno di efficacia con il vaccino adattato a Omicron. Il numero di anticorpi prodotti dalle due versioni del vaccino in un gruppo di 8 scimmie è stato simile, e gli anticorpi generati dal vaccino non aggiornato hanno dimostrato di essere “cross-reattivi”, cioè di saper neutralizzare anche varianti leggermente diverse del virus. Il vaccino aggiornato somministrato ai topi li ha protetti abbastanza bene da Omicron, ma non dalle varianti precedenti del virus, segno che la cross-reattività era ridotta: un problema, in caso di future varianti. Una terza sperimentazione, sempre sui roditori, ha mostrato che gli animali immunizzati prima con il vaccino per Wuhan, poi con quello per Omicron, continuavano a produrre anticorpi diretti verso il virus di Wuhan, un fenomeno noto in immunologia come “il peccato originale degli anticorpi”.
I dati sugli animali sono in genere fedeli a quelli della nostra specie, ma occorrerà aspettare la sperimentazione sugli uomini per esserne certi. Moderna attualmente sta somministrando ai volontari un vaccino cosiddetto bivalente, che contiene metà dose di quello attuale e metà di quello aggiornato. Per l’estate del 2023, poi, l’azienda promette una fiala che contenga sia gli antigeni del Covid che quelli dell’influenza, per vaccinarci in una volta sola per entrambe le infezioni.
Pfizer invece conduce i test con il solo vaccino aggiornato. Albert Bourla, amministratore delegato, ha spiegato che la sua azienda farà di tutto per avere il vaccino adattato a Omicron pronto entro l’estate. Se poi sarà il caso di usarlo, dipenderà dalle circostanze e dalle scelte delle autorità regolatorie.
Avviare la produzione di un nuovo prodotto può avere dei costi, certo, ma le vere incognite sono altre. Una volta messo a punto il vaccino aggiornato, ad esempio, quello attuale sembrerà di serie B, e questo spingerà molte persone non ancora immunizzate a evitarlo. Omicron potrebbe declinare tanto rapidamente quanto si è diffusa. Da qui all’autunno, poi, potrebbe emergere una nuova variante. Non ci sono segnali premonitori, al momento, ma la subvariante Omicron 2, ancora più contagiosa, sta decollando in Cina, un paese da 1,4 miliardi di abitanti con poca immunità da guarigione e molti vaccinati con fiale di cui non si conosce esattamente l’efficacia. Un numero importante di infezioni in quel paese potrebbe far emergere una nuova variante. E costringerci di nuovo all’inseguimento con un altro vaccino nuovo.
Aumentano i contagi bis, i riluttanti alla terza dose rischiano il doppio
Repubblica. I non vaccinati non sono solo maggiormente esposti alla malattia ma anche alla possibilità di venire infettati per una seconda volta dopo una prima positività al virus. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, le persone senza alcuna copertura hanno il triplo del rischio di andare incontro a una reinfezione rispetto a chi ha ricevuto le somministrazioni da meno di 120 giorni. Anche chi ha fatto il vaccino da oltre quattro mesi rischia di più, quasi due volte, rispetto a chi lo ha avuto di recente. E infatti gli esperti consigliano di fare la terza dose appena possibile, cioè quando sono trascorsi i 120 giorni dalla seconda, aumentando così sensibilmente la protezione. Sono ancora molti coloro che non hanno ricevuto il booster malgrado possano richiederlo e tra questi circa 1,5 milioni hanno più di 60 anni, persone che se sviluppano il Covid sono a rischio.
Dal 24 agosto dell’anno passato a mercoledì scorso i casi di reinfezione sono stati 282.654, cioè il 3% del totale dei casi notificati. E con l’arrivo di Omicron a dicembre scorso le reinfezioni sono triplicate. Nell’ultima settimana il dato sale al 3,4%. Il rischio di essere positivi di nuovo raddoppia se sono passati almeno 210 giorni dalla prima diagnosi. Le donne si contagiano nuovamente più spesso (1,2 volte), anche perché, spiegano dall’Istituto, sono molto più presenti nel mondo scolastico «dove viene effettuata una intensa attività di screening. Inoltre svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito familiare». Stesso discorso vale per i giovani, in particolare i ventenni, più esposti al rischio di reinfezione (quasi il doppio) rispetto ai cinquantenni. Gli over 80, che sono più vaccinati di tutti, hanno invece un rischio di un terzo, sempre nei confronti di chi ha tra 50 e 59 anni, di reinfettarsi.
Riguardo alla campagna di vaccinazione, non sarà più la struttura commissariale guidata dal generale Francesco Figliuolo ad occuparsi, tra l’altro, di approvvigionamento e distribuzione. Dal primo aprile nascerà l’“Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l’adozione di altre misure di contrasto alla pandemia”, con al vertice un militare, affiancato dal segretario generale del ministero alla Salute Giovanni Leonardi. Dall’anno prossimo tutta l’attività passerà al ministero guidato da Speranza.