Il Sole 24 Ore. Sono sempre di più i professionisti che continuano a lavorare anche dopo essere andati in pensione. In soli quattro anni, dal 2017 al 2020, sono cresciuti del 19%, più o meno allo stesso ritmo dell’insieme complessivo dei pensionati (+21%) aderenti alle Casse di previdenza privatizzate. Con il risultato che di fatto oggi più di uno su due tra i professionisti che vanno in pensione sceglie di continuare a lavorare e a versare i contributi alla propria Cassa di appartenenza. Due su tre per commercialisti e avvocati.
La lenta crescita
Il fenomeno, in realtà, parte da lontano: nel suo Rapporto 2021 sulla previdenza privata, l’Adepp, l’associazione delle Casse professionali, parla della nascita nel tempo di una vera e propria “Silver economy”. «Tra il 2005 ed il 2020 il numero di pensionati attivi è più che raddoppiato», si legge nel Rapporto. Un aumento che non va di pari passo con la crescita del totale dei pensionati dovuta al sempre maggiore invecchiamento della popolazione degli iscritti alle Casse che – lo ricordiamo – sono state istituite circa 30 anni fa, avevano in partenza una base di iscritti relativamente giovane e solo negli ultimi anni vedono incrementarsi in modo significativo le uscite.
«La crescita del numero di pensionati che continuano a esercitare l’attività professionale è stata nettamente superiore a quella degli iscritti», precisa il documento riferendosi agli ultimi 15 anni. Solo dal 2017 al 2020 (ultimo anno disponibile) le due curve tendono a riavvicinarsi. La crescita dei pensionati attivi riguarda quasi tutte le Casse (si veda il grafico a fianco) anche se in modo differente. «Se si fa eccezione infatti per la Cassa geometri, in cui si è registrata una riduzione dei pensionati attivi, fortemente giustificata da una ridefinizione delle aliquote di contribuzione in questo ente, tutti gli altri mostrano percentuali di crescita, in alcuni casi particolarmente elevate», osserva il presidente di Adepp, Alberto Oliveti. È così, ad esempio, per i biologi (+42%) e i medici non dipendenti (+42%). Ma il picco lo si riscontra tra i veterinari, tra i quali gli attivi sono aumentati in 4 anni del 75 per cento. In controtendenza, appunto, solo i geometri. Come precisa Oliveti, la ragione potrebbe essere legata alle aliquote richieste dalla Cassa, pari al 100% del contributo integrativo, mentre molti altri enti hanno approfittato della possibilità concessa dalla legge di arrivare fino al dimezzamento dei versamenti.
Il contributo
Fatto sta che più di uno su due tra i professionisti (il 54% per l’esattezza) decide di continuare a lavorare, integrando così la pensione, e approfittando anche della maggiore flessibilità organizzativa insita nel lavoro autonomo. Percentuali molto più alte se si scende nel dettaglio: due su tre tra commercialisti e avvocati, restano in studio. Numeri analoghi anche per psicologi, architetti e ingegneri.
Insomma un esercito che apporta un sostanzioso contributo all’equilibrio del sistema previdenziale privato, come riconosce Oliveti : «In molte Casse i pensionati attivi, principalmente attraverso il versamento del contributo integrativo, contribuiscono alla stabilità del sistema previdenziale e diventano attori di un effetto perequativo tra generazioni». Già perché gli attivi in molti enti sono chiamati a versare il solo contributo integrativo (peraltro con aliquote che possono scendere fino al 50%).
Risorse che, in questo caso, anziché finire sui singoli montanti, sono messe a sistema. Con il risultato che mentre la base si sta leggermente erodendo soprattutto per via di un lento distacco dei giovani dalle professioni (dal 2017 al 2020 gli iscritti sono scesi di mezzo punto percentuale), l’apporto dei pensionati attivi diventa significativo per l’equilibrio del sistema.