Repubblica. Dalle centraline di Chernobyl non arrivano dati dalla mattina del 25 febbraio e l’Agenzia nazionale per l’energia atomica ammette la preoccupazione per l’impossibilità di comunicare con il personale ucraino della centrale di Zaporizhzhia caduta nelle mani delle forze armate russe e per l’attacco contro l’impianto di ricerca nucleare di Kharikiv ma né in Europa né tantomeno in Italia è stata rilevata alcuna modifica sui livelli di radioattività nell’atmosfera. È qui, nella sala operativa Cevad dell’Ispettorato nazionale di sicurezza nucleare e la radioprotezione sulla circonvallazione Ostiense che qualsiasi minima anomalia verrebbe segnalata in tempo reale. L’Isin è infatti il braccio operativo del Piano per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari il cui aggiornamento è stato firmato ieri dal capo della Protezione civile Fabrizio Curcio. Coincidenza solo casuale nella tempistica con la crisi in Ucraina.
«Non c’è nessun allarme nucleare, no a farmaci fai-da te. Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione », si affretta a precisare l’Istituto superiore di sanità preoccupato per la corsa irrazionale che si sta verificando anche in Italia all’acquisto di pastiglie di iodio e addirittura (per chi se lo può permettere) alla disponibilità di un bunker ad hoc.
Rifugi al chiuso per la popolazione e distribuzione di farmaci a base di iodio in realtà sono tra le contromisure previste dal Piano. Ma si tratta di interventi diretti sulla popolazione che verrebbero applicati solo nel caso in cui la fonte della contaminazione fosse entro i 200 chilometri dal territorio italiano, la più grave delle tre fasi previste e dunque non adeguata ad un’eventuale emergenza nelle centrali ucraine che distano più di 1.000 chilometri.
Il piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari prevede tre step tarati sulla misura dell’incidente ma soprattutto sulla distanza dal territorio italiano: entro 200 km dai confini nazionali, tra 200 e i 1.000 km e in territorio extraeuropeo. In Europa sono 107 i reattori nucleari attivi, in tredici Paesi, ma il primo step, quello a più alto rischio, è quello più improbabile per l’Italia che non ha sul suo territorio nessun impianto nucleare ed entro la distanza dei 200 chilometri solo alcune centrali in Slovenia, Svizzera e Francia. Se mai dovesse accadere, i cittadini riceverebbero indicazione di rimanere a casa, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, da poche ore a un massimo di due giorni. E poi istruzioni specifiche per le scuole e indicazioni per la iodioprofilassi, con l’obiettivo di proteggere la tiroide evitando l’assorbimento di iodio radioattivo, ma solo per alcuna fasce di popolazione: i bambini e i ragazzi, gli adulti fino a 40 anni e le donne incinte o che allattano. Ma solo per poche ore, non oltre 8 dall’eventuale esposizione. Lo iodio stabile sarebbe distribuito su indicazione del ministro della Salute nelle aree interessate.
Nel secondo step, quello più adattabile alla situazione attuale, l’intervento sarebbe invece limitato al blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi (verdure fresche, frutta, carne, latte), controlli sulla filiera agroalimentare e misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico. In caso di incidenti a siti nucleari extraeuropei le uniche precauzioni riguarderebbero la trattazione di materiali provenienti da quei luoghi, le importazioni e il rientro in sicurezza di cittadini italiani all’estero rimasti esposti alle radiazioni.