Oltre 40 milioni di euro, per recuperare 325 mila prestazioni ambulatoriali e 72 mila interventi chirurgici con ricovero, inghiottiti dall’emergenza degli ultimi mesi. È il conto del Covid sui bilanci della sanità veneta, a dicembre investita dall’ennesima valanga e costretta a reinventarsi ancora. Spendendo denaro, dirottando personale e impegnando risorse nella lotta al virus: che fosse nella cura dei pazienti positivi, nella somministrazione dei vaccini o nell’esecuzione dei tamponi.
MANCA IL PERSONALE Uno sforzo enorme, che la sanità regionale si è ritrovata ad affrontare, con un esercito di uomini falcidiato dalle defezioni. Per i contagi, per le sospensioni. E una recente circolare diffusa dal Ministero della sanità inserisce un’altra motivazione, stabilendo che i sanitari No vax non possono essere riammessi al lavoro, anche se nel frattempo hanno contratto il Covid e si sono negativizzati. Esclusi solo quanti non sono riusciti ad aderire alla profilassi perché anticipati dal virus. Una nuova regola, sulla quale si interrogano Usl, Regione, case di riposo e cooperative con servizi in appalto, per capire come metterla in atto. «Ne discuteremo nel corso della prossima commissione salute» spiega l’assessora veneta alla sanità Manuela Lanzarin, pur non nascondendo i problemi: «Tra carenza di personale, operatori contagiati, sospensioni e recupero delle liste d’attesa, siamo in difficoltà con il personale. Ma la circolare del ministero e il dl 44/2021 sono chiari nel prescrivere l’obbligo vaccinale per i lavoratori della sanità. Ci attendiamo un pronunciamento o quantomeno un chiarimento nazionale, per tenere un comportamento coerente con le normative e uniforme tra i territori». Resta un fatto: tra ospedali e ambulatori medici, sono a centinaia gli operatori sanitari No vax riammessi al lavoro, dopo essere guariti dall’infezione. Numeri di cui la Regione non ha ancora chiara contezza. «Faremo una ricognizione nei prossimi giorni» spiega l’assessora alla sanità.
RECUPERO DELLE LISTE D’ATTESA Poco importa se il numero di sanitari è sufficiente o meno, ci sono 325 mila prestazioni ambulatoriali, screening compresi, e 72 mila interventi chirurgici da recuperare. Per questo la Regione ha messo sul piatto oltre 40 milioni di euro, di cui un quarto finirà nelle casse delle strutture private, chiamate ad affiancare gli ospedali. Bisogna recuperare tutte le prestazioni saltate negli ultimi tre mesi, ma anche la coda di quelle inghiottite nella precedente ondata dell’emergenza e non ancora assorbite. Lo consente la nuova organizzazione degli ospedali, alleggeriti sotto ogni punto di vista. Alla profilassi ha ormai aderito oltre 1’80% della popolazione, quindi la campagna vaccinale sta rallentando. Di conseguenza, stanno rallentando anche i contagi, con benefici sia tra i reparti, sia per quanto riguarda lo screening. E allora gli ospedali possono finalmente tornare a respirare, ricalibrandosi sul loro vecchio assetto. O, almeno, avvicinandosi al vecchio disegno. Con una priorità, appunto: il recupero delle liste d’attesa. «Come promesso, abbiamo messo in campo uno sforzo importante, che prevediamo, salvo altri imprevisti, possa concludersi a fine anno» dice Lanzarin. «Mentre ancora il sistema sanitario è impegnato sul fronte dell’assistenza e della cura di una pandemia che sembra regredire, ma non è certo scomparsa, lanciamo un’altra sfida: tornare quanto prima alla normalità di visite e interventi. Un obiettivo ambizioso, ma necessario». Adesso le Usl venete dovranno redarre i rispettivi piani operativi, per inviarli ad Azienda zero e all’area sanità e sociale della Regione entro 1’11 marzo. Poi Azienda zero monitorerà sull’effettivo rispetto dei programmi.
Il Mattino di Padova – La Nuova Venezia – La tribuna di Treviso