C’è ancora molto da fare: è questo quello che emerge dal X rapporto nazionale Animali in città che è stato redatto da Legambiente col patrocinio del Ministero della Salute, Anci, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Enci, Fnovi, Anmvi e Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva. Il documento ha approfondito quanto fatto dalla pubblica amministrazione per il benessere degli animali nei centri urbani e purtroppo i numeri sono stati eloquenti in senso negativo.
Il quadro è quello di un’Italia divisa a metà con una netta differenza tra nord e sud: la pandemia e la crisi che ne è scaturita hanno contribuito a questa situazione, visto che il paese è in ritardo sulle sterilizzazioni di cani e gatti, privo di un regolamento sul tema della convivenza sicura con gli animali e soprattutto alle prese con i costi legati al fenomeno dei cani vaganti.
Cosa emerge dal rapporto di Legambiente
Dal rapporto emerge che quasi la metà delle amministrazioni comunali che hanno risposto ha attivato un ufficio o un servizio dedicato agli animali e oltre i tre quarti delle aziende sanitarie dichiarano di avere un canile sanitario o un ufficio di igiene urbana veterinaria. Nonostante questo, poco meno di un Comune su 13 ha registrato un livello che viene considerato almeno sufficiente.
La stessa performance è stata raggiunta da quattro aziende sanitarie su cinque. Prato, Verona e Modena sono le città che hanno registrato le tre percentuali migliori, mentre se si guarda alle aziende sanitarie si scopre che Brescia, Sondrio e Vercelli sono i comuni con le ATS dai numeri più alti.
Inoltre, nel 2020 la spesa per i servizi ai cittadini e ai loro quattro zampe è stata di poco inferiore ai 200 milioni di euro, in calo rispetto a un anno prima. Un altro dato interessante è quello che riguarda i gatti adottati in Italia nell’anno della pandemia: il numero è aumentato di tre volte rispetto a dodici mesi prima, superando i 42mila pelosi (nel 2019 erano stati 12.495), a fronte però di un calo delle adozioni dei cani nei canili (-20%).
Il controllo demografico
Per quel che riguarda il controllo demografico, oltre a cani e gatti, sono aumentate in città le specie animali da compagnia, come ad esempio roditori, volatili e invertebrati, una crescita che è avvenuta senza che ci fosse una strategia pubblica preventiva. Meno del 50% delle aziende sanitarie ha dichiarato di aver realizzato azioni per prevenire il randagismo di cani e gatti: nel 2020 i cani sterilizzati sono stati meno di 7mila, mentre i gatti sterilizzati hanno sfiorato quota 20mila, numeri che secondo Legambiente non sono sufficienti per parlare di una seria politica di controllo demografico.
Cani vaganti, un fenomeno che ci interessa da vicino
Il rapporto si basa sui dati di comuni e aziende sanitarie, però non deve essere soltanto un campanello d’allarme per la pubblica amministrazione, ma anche per i cittadini. In effetti in Italia ci sono circa 30 milioni di persone che hanno un animale da compagnia e da affezione, segno che la sensibilità è molto alta nei confronti di questo argomento e non si può rimanere indifferenti di fronte a questi numeri.
In effetti, sempre secondo il rapporto di Legambiente, i cani vaganti rappresentano il costo economico più alto a carico della collettività. L’associazione ambientalista ha accertato come nel 2020, nei Comuni monitorati ogni 10 cani catturati 8,8 sono stati restituiti ai proprietari, adottati o reimmessi come cani liberi controllati. Nel caso delle aziende sanitarie, poi, per 9 cani su 10 c’è stata una soluzione felice, con differenze tra un Comune e l’altro. Mentre Milano, Verona e Bolzano sono risultate particolarmente virtuose per quanto riguarda la popolazione ospitata nei canili, al Sud e nelle isole si sono registrate percentuali interessanti per i cani liberi controllati.
Il rapporto Legambiente sul fronte dei controlli
Spostando l’attenzione sul fronte dei controlli, il rapporto di Legambiente ha evidenziato come un Comune su 5 abbia dichiarato di averne effettuati di specifici, in particolare quelli relativi all’anagrafe canina e quelli sulla raccolta delle deiezioni. Purtroppo nel 2020 meno del 50% dei Comuni monitorati ha dichiarato di avere un regolamento per la detenzione corretta degli animali di città, mentre quelli sull’accesso ai locali pubblici e in ufficio in compagnia dei quattro zampe sono presenti in circa un comune su 6. Un altro dato negativo è quello che riguarda la regolamentazione dei botti e dei fuochi d’artificio, presente in appena il 7,9% dei Comuni.
Va un po’ meglio sul fronte delle aree cani, con oltre un terzo dei Comuni che ha dichiarato di aver creato spazi aperti dedicati agli animali di affezione, sempre con differenze tra una città e l’altra.
Le proposte di Legambiente
Come ha sottolineato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, “prendersi cura di persone e animali è prendersi cura del pianeta e del benessere di tutti”, ragione per cui, a fronte di questo decimo rapporto, l’associazione ambientalista ha formulato sei richieste per cercare di migliorare la situazione in città:
- Approvare e far entrare in vigore entro il 2022 l’anagrafe unica nazionale per tutti gli animali di affezione o compagnia per far emergere dei bisogni sempre più diffusi in gran parte della popolazione e delle amministrazioni pubbliche
- Favorire la sottoscrizione entro il 2025 di 1.000 accordi o patti di comunità per dar vita a reti e alleanze tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati, prendendo spunto dalle esperienze positive in alcuni Comuni in materia di tutela e cura degli animali d’affezione e selvatici
- Arrivare entro il 2030 all’assunzione a tempo indeterminato di 10mila veterinari pubblici in servizio su tutto il territorio nazionale per rilanciare la sanità di prossimità
- Inaugurare entro il 2030 1.000 strutture veterinarie pubbliche tra canili sanitari e gattili sanitari e ospedali veterinari, equamente distribuiti in tutto il territorio nazionale
- Potenziare gli spazi verdi urbani ed arrivare entro il 2030 a un’Italia con un’area cani ogni 1.000 cittadini residenti in ogni città
- Sviluppare nuove sinergie tramite la vigilanza volontaria per formare, aggiornare e coinvolgere attivamente, entro il 2030, 15mila guardie ambientali e zoofile volontarie