Almeno 12mila tra medici e infermieri sono positivi: per almeno una settimana non possono lavorare. Detta in altri termini: ogni giorno 1.800 operatori sanitari scoprono di essere infetti e devono lasciare il reparto. Certo, c’è una sorta di turnover: altri si negativizzano e tornano al lavoro. Ma se una quota rientra in servizio perché termina il periodo di isolamento grazie al tampone negativo, un’altra (più alta) deve restare a casa, a causa del tampone positivo. A questi si aggiungono altri 26mila assenti, sempre sommando medici e infermieri: sono sospesi perché hanno rifiutato di vaccinarsi. In sintesi: nella fase più difficile della pandemia, con oltre 20mila ricoverati per Covid, gli ospedali italiani si trovano senza 40.000 camici bianchi. Anche questo è l’effetto dell’alta circolazione di Sars-CoV-2, al di là del timido rallentamento.
ROSSO ADDIO Le Regioni intanto lanciano una proposta: eliminiamo il sistema dei colori, che decide le chiusure in base ai ricoveri e all’incidenza dei contagi, visto che ormai è superato dall’uso del Super green pass. Già oggi tra bianco, giallo e arancione non ci sono sostanziali differenze, le chiusure vere e proprie scattano solo con il rosso (che al momento non sembra imminente, visto che c’è solo una Regione in arancione da domani, la Valle d’Aosta). E poi c’è il nodo delle quarantene. Il Lazio, ad esempio, per chi è vaccinato con tre dosi e positivo asintomatico propone che l’isolamento termini dopo cinque giorni, consentendo di tornare al lavoro senza test.
Questo avrebbe anche effetti benefici sugli organici decimati dei reparti. In alcuni grandi ospedali siamo nell’ordine del 20 per cento di infermieri fermi, da altre parti va meglio, ma a rendere tutto molto complicato c’è il fatto che il personale sanitario serve anche per fare i tamponi e per gli hub vaccinali. Ma perché non assumiamo più medici e infermieri? Perché non ci sono, semplicemente. In alcuni territori sono stati assunti dall’estero, visto che il serbatoio di chi si è laureato in Italia si è esaurito. Giovanni Migliore, direttore del Policlinico di Bari e presidente di Fiaso, la federazione delle aziende sanitarie italiane: «Tutti gli infermieri che potevamo assumere, li abbiamo assunti. E in 48.000 sono stati stabilizzati. Ma altri non ce ne sono».
Dobbiamo aspettare nuovi laureati in infermieristica, ma così come avvenuto per i medici, il numero chiuso ha causato una carenza di offerta. E un evento straordinario come la pandemia ha fatto saltare tutte le pianificazioni. Ogni giorno si contagiano 1.800 operatori sanitari e in molti ospedali italiani si stanno tagliando prestazioni e, nei casi estremi, chiudono reparti. Al San Camillo di Roma si è fermata “Cardiologia Week”. Precisa l’azienda ospedaliera: «La quarantena di 30 operatori terminerà martedì rendendo possibile, con il loro rientro, la riattivazione della struttura che resterà inattiva per soli due giorni».
Ma perché si stanno trovando tanti operatori sanitari positivi visto che tutti hanno ricevuto la terza dose? Con la variante Omicron sappiamo che esiste la possibilità di essere contagiati, per fortuna quasi sempre in modo sintomatico, anche da vaccinati. E gli operatori sanitari ciclicamente sono sottoposti ai tamponi di controllo. Facendo i test, una buona fetta risulta positiva, vista l’altissima circolazione del virus nel Paese. Rispetto alla primissima fase della pandemia, quando i focolai esplodevano, drammaticamente, in corsia e purtroppo anche medici e infermieri hanno avuto molte vittime per Covid nelle loro fila, ora la situazione è differente: medici e infermieri, come tutti i cittadini, in questo periodo vengono contagiati soprattutto al di fuori degli ospedali, magari in famiglia. E anche se sono quasi sempre asintomatici, si devono fermare, con le regole attuali, almeno per sette giorni.
REGOLE Le Regioni hanno proposto una nuova regola – per tutti non solo per i camici bianchi – secondo la quale il positivo asintomatico che ha ricevuto il booster dopo cinque giorni dovrebbe tornare alla vita normale anche senza tampone negativo, ma al momento non è stata ancora accolta. Per non paralizzare la sanità in realtà una scelta è stata fatta: medici e infermieri, contatti di un positivo, magari di un collega con cui si è lavorato fianco a fianco, non vanno in isolamento, non restano a casa, continuano a essere in servizio, ma ogni giorno devono sottoporsi al test antigenico di controllo. «Dico la verità – commenta Migliore – i 12-13mila positivi alla settimana sono un numero alto, ma prevedibile con l’attuale intensità della circolazione del virus. Speriamo che i segnali di frenata di questi giorni possano portarci a un graduale miglioramento della situazione. Ciò che trovo inaccettabile è che almeno il doppio sia assente per avere rifiutato il vaccino». (Mauro Evangelisti – Il Messaggero)
Veneto, oltre 3 mila sanitari sono positivi al Covid. Ospedali in difficoltà senza i lavoratori contagiati e sospesi
La Nuova Venezia. Le infezioni da Covid si s tanno rivelando una falcidie anche all’interno degli ospedali, sottraendo in tutto il Veneto migliaia di operatori sanitari ai reparti. Del resto, le strutture di cura non sono cellule isolate dall’esterno, dove le infezioni imperversano: soltanto ieri si sono registrati 18.357 nuovi casi, con un tasso di positività sui tamponi effettuati prossimo al 13%. E chi lavora nel mondo della sanità, si diceva, non è esente. È un esercito di 3.286 uomini e donne: tanti sono gli operatori veneti a casa, perché positivi al virus. Per la maggior parte si tratta di infermieri (1.288), a cui aggiungere 480 medici (su circa 32 mila), 476 operatori socio-sanitari, 120 medici di famiglia, 440 operatori sanitari di altro genere e 482 ulteriori addetti sanitari. Migliaia e migliaia di lavoratori sottratti a reparti ospedalieri, ambulatori, studi. Da aggiungere alle migliaia di sanitari che sono stati sospesi, perché non vaccinati contro il Covid.
Questa settimana, soltanto l’Ordine dei medici di Venezia ha inviato 250 Pec ad altrettanti dottori non vaccinati, chiedendo spiegazioni. Se queste non saranno convincenti, scatterà la sospensione del servizio e dallo stipendio. «Il dilagare dei contagi tra i sanitari sta creando grossi problemi nella gestione degli ospedali, è inutile nasconderlo» commenta il chirurgo veneziano Giovanni Leoni, vicepresidente nazionale dell’Ordine dei medici, «per questo da tempo sostengo l’importanza di un lockdown. Se non indifferenziato, quantomeno in situazioni mirate, per interrompere la catena delle positività». Anche perché i ricoveri crescono. E far fronte alla crescita del numero di positivi con bisogno di cure, senza accantonare la gestione degli altri pazienti, si rivela un’impresa per organici sempre più risicati. «Adesso si sta parlando di aumentare il numero dei letti nei reparti di Rianimazione, ma questo deve essere accompagnato dall’assunzione di nuovo personale. Tra contagi e sospensioni, le difficoltà sono sotto gli occhi di tutti» conclude il presidente dei medici.