Laura Cuppini, il Corriere della Sera. Professor Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, abbiamo superato i due milioni di contagi. Il picco potrebbe essere vicino?
«È impossibile prevederlo, per un semplice motivo: non sequenziamo abbastanza il virus. In Italia convivono due varianti, Delta e Omicron. Una terza, individuata nel Sud della Francia (Ihu, il cui paziente zero è un viaggiatore proveniente dal Camerun, ndr), potrebbe arrivare a complicare ulteriormente il quadro. In questo momento non sappiamo quanti dei contagi, dei ricoveri e dei decessi per Covid vadano ascritti a Delta o a Omicron. L’incertezza non consente di fare previsioni sul raggiungimento del picco e la successiva discesa dei casi».
In Inghilterra i contagi sono in calo da sei giorni (dopo aver superato quota 200 mila in 24 ore), nonostante il «piano B», ovvero poche restrizioni per non penalizzare l’economia. È una strada percorribile?
«Non possiamo fare un confronto con il Regno Unito, dove è stato istituito fin dall’inizio della pandemia un consorzio di università e centri di ricerca che ha sequenziato quasi 2 milioni di genomi di Sars-CoV-2. Così facendo si conosce in tempo reale l’arrivo di una nuova variante e la sua diffusione e qualunque decisione può basarsi su una conoscenza dell’andamento epidemiologico. In Italia tutto questo non avviene: l’attività di sequenziamento è insufficiente, soprattutto alla luce delle nuove varianti».
A dicembre Omicron era al 28% di diffusione: potrebbe già essere dominante, come accaduto in altri Paesi?
«Sarebbe utile saperlo, ma mancano i dati. Possiamo quindi limitarci ad alcune considerazioni: visto l’elevato livello di contagiosità, presumiamo che Omicron scalzi Delta. Per quel che sappiamo oggi, sarebbe un cambio vantaggioso, dato che Omicron sembrerebbe meno aggressiva della variante precedente. Ma è davvero difficile formulare ipotesi perché siamo in una fase di rapido mutamento e i fattori in gioco sono tanti e complessi».
Per esempio?
«Un elemento importantissimo è il livello di consapevolezza delle persone: non siamo in una situazione di normalità e chiunque — anche se vaccinato o guarito — deve fare il possibile per non infettarsi. Bisogna evitare qualsiasi assembramento non strettamente necessario, penso per esempio al campionato di calcio. E lo dico da tifoso».
Quanto incidono i vaccini?
«Più che altro dobbiamo riflettere sull’impatto dei non vaccinati: tra loro ci sono 4 milioni di ultra 50enni e tutti i bambini sotto i 5 anni (per i quali non c’è ancora un vaccino, ndr). A costoro vanno aggiunti i soggetti che per vari motivi, nonostante l’immunizzazione, non sviluppano una risposta immunitaria sufficiente per la protezione dalla malattia (circa il 10%). Facendo un calcolo un po’ a spanne, parliamo di 10 milioni di persone suscettibili al virus in Italia. Non sappiamo quanti di loro abbiano avuto un’infezione asintomatica e quindi, pur senza lo status ufficiale di guariti, godano di una certa protezione».
I ricoverati per Covid sono oltre 16 mila e 1.600 i pazienti in terapia intensiva. I farmaci antivirali potranno limitare la pressione sugli ospedali?
«Per ora è disponibile solo la pillola prodotta da Merck, che come sappiamo ha un’efficacia del 30% e deve essere somministrata all’inizio dei sintomi. La terapia è indicata per i soggetti fragili, ad elevato rischio di malattia grave o decesso: pazienti oncologici in terapia, trapiantati, soggetti con patologie che compromettono il sistema immunitario. La speranza è che arrivi un antivirale efficace in tutte le fasi di Covid, con la stessa azione di un antibiotico nelle infezioni batteriche, per capirsi. Diversi gruppi di ricerca nel mondo stanno lavorando per mettere a punto una cura del genere, che potrebbe essere davvero risolutiva».
Quali sono le cose più urgenti oggi?
«Primo, spingere le vaccinazioni. Credo che sarebbe giusto introdurre l’obbligo dai 5 anni in su. Secondo, sequenziare molto di più il virus per avere un quadro preciso della diffusione di Omicron e cogliere immediatamente l’eventuale arrivo di nuove varianti. Terzo, mantenere le protezioni personali ed evitare possibili occasioni di contagio. C’è poi un impegno fondamentale che spetta agli Stati e alle istituzioni: proteggere le aree a basso reddito. In Africa solo il 9,5% della popolazione è vaccinato con ciclo completo. Se continuiamo a far circolare il virus si formeranno altre varianti che, con lo spostamento di persone, arriveranno anche nei Paesi con coperture vaccinali elevate. Lo stiamo già vedendo».