«Assistiamo a una sorta di rimozione collettiva sulla variante Delta, ma non c’è nessuna prova che sia scomparsa. Anzi, probabilmente è la principale responsabile dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva. In questo momento, in realtà, è come se ci fossero due epidemie diverse: quella dovuta appunto alla Delta e quella riconducibile a Omicron, con effetti meno gravi sulla salute ma così contagiosa da farci rischiare un lockdown di fatto. Per poter affrontare efficacemente questa fase, è fondamentale avere chiara tale distinzione. E magari adoperarsi per distinguere chi si ammala di una variante piuttosto che dell’altra».
Fotografano dunque una “doppia epidemia” le ultime analisi condotte sui numeri del Covid da Roberto Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento e coordinatore dell’Osservatorio epidemiologico dello stesso ateneo.
Professor Battiston, ma non si era detto che la Omicron stava soppiantando la Delta?
«Stava diventando prevalente, ma questo termine non andava interpretato come se la variante precedente fosse destinata a scomparire. E infatti non è stato così. Supponiamo anche che Omicron rappresenti l’80% dei 200mila nuovi casi giornalieri: ne restano 40 mila che sono riconducibili alla Delta.
Nonostante l’esplosione di Omicron, Delta ha continuato a espandersi nelle ultime settimane: a ridosso di Natale causava 30-35mila nuovi contagi al giorno, oggi ne provoca, probabilmente, circa 40mila».
Con quali conseguenze?
«Le peggiori, dal punto di vista sanitario. Sappiamo che è all’origine dei casi più gravi nei non vaccinati: decessi e ricoveri nelle terapie intensive. Se non la si argina rapidamente o non si prendono opportune misure di potenziamento delle strutture di emergenza, si rischia il collasso del sistema ospedaliero nei prossimi 30 giorni».
E poi c’è la corsa di Omicron.
«Sì, che è molto rapida nella sua espansione, colpisce vaccinati (per lo più senza booster) e non, ma fortunatamente ha effetti meno gravi sia per gli uni che per gli altri. E tuttavia può bloccare il Paese: oggi ci sono ufficialmente un milione e 800mila italiani in quarantena, ma è ragionevole pensare che il doppio o il triplo si siano messi in isolamento precauzionale. Insomma ci si avvia verso un 10% della popolazione bloccato in casa, l’inizio di un lockdown di fatto».
Ma allentare le regole della quarantena, alla luce delle caratteristiche di Omicron, non rischia di rilanciare Delta?
«È proprio questo il punto: siamo convinti di combattere un solo nemico, il Covid-19, mentre attualmente siamo di fronte a due varianti molto diverse, che adottano strategie e hanno conseguenze completamente diverse. Accorciare il periodo di quarantena nei casi di contatto di un vaccinato con un positivo può avere senso, ma nella misura in cui un cont agio Delta può essere identificato e trattato in modo diverso».
Si dovrebbe poter distinguere tra chi si ammala di una variante e chi dell’altra?
«Esatto. Purtroppo sul sequenziamento dei tamponi, tecnica che permetterebbe di distinguere Delta da Omicron, siamo molto indietro, abbiamo dati insufficienti e con grande ritardo rispetto allo sviluppo della pandemia. Quindi ci muoviamo quasi alla cieca, sparando con le stesse armi a bersagli molto diversi tra loro».
La coesistenza di Delta e Omicron entra anche nel dibattito di queste ore sulla riapertura delle scuole?
«Certo. Il punto fondamentale è che meno facciamo circolare la variante Delta e meglio è, visti gli effetti che induce in chi non è vaccinato. Far tornare i ragazzi in presenza è una scelta politica, ma non mi pare risponda allo scenario pandemico disegnato dai dati».
Si possono fare previsioni sui numeri delle prossime settimane? È plausibile la cifra di 400mila nuovi casi al giorno?
«Di sicuro il numero di nuovi contagi giornalieri aumenterà ulteriormente. Ma in questa fase ogni calcolo matematico è sottoposto a troppe incertezze».