Report Ismea. L’offerta nazionale è aumentata del 3,2% ma importiamo quasi metà del fabbisogno. Scordamaglia (Assocarni): i fondi del Pnrr per rafforzare la filiera e recuperare terreno sulla Francia. L’Italia è terza in Europa per produzione di carne bovina, ma al settimo posto per numero di vacche nutrici, così i vitelli arrivano soprattutto dalla Francia
Emiliano Sgambato, Il Sole 24 Ore.In un contesto internazionale dove si rafforza la domanda di carne bovina, l’offerta italiana nei primi 9 mesi del 2021 è tornata a crescere del 3,2% riavvicinandosi ai livelli del 2018. Un trend al rialzo, quindi, dopo la contrazione del 2019 e la tenuta – nonostante il Covid e le lunghe chiusure di bar, ristoranti e mense – del 2020. Anche i prezzi sono in netta ripresa, sia per i capi da macello, con in particolare i vitelloni che a novembre «hanno spuntato le quotazioni più elevate del triennio», sia per la carne all’ingrosso (sempre il vitellone è quotato il 7% in più del 2020). Sul fronte consumi, come già successo lo scorso anno, quelli domestici «hanno in buona parte compensato quelli mancati del fuori casa, così anche nella distribuzione si è assistito a una maggior presenza di prodotto italiano, venduto a prezzi in tenuta, con spunti al rialzo».
Ma gli elementi positivi del quadro dipinto da Ismea in un report appena diffuso, vanno bilanciati con le criticità. Da un lato c’è un problema di redditività con i prezzi di vendita che crescono sì, ma spesso più lentamente rispetto ai costi per energia, materie prime, mangimi e “ristalli” (una quota cospicua degli allevamenti è costituita da vitelli che nascono all’estero, soprattutto in Francia, per essere poi ingrassati in Italia). Dall’altro persiste «la pressione delle produzioni estere, che malgrado il diffuso incremento dei listini si posizionano su prezzi inferiori a quelli delle carni italiane». Non va infatti dimenticato che il grado di autosufficienza del settore – nonostante negli ultimi due anni l’import sia diminuito – supera di poco il 50%, con i bovini che rappresentano il 32% dei consumi di carne in quantità e il 43% in valore (il fatturato del settore ammonta a 6 miliardi).
Secondo Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni, è il momento per investire sul prodotto italiano: «A livello globale la domanda di carne bovina supera l’offerta in modo ormai consolidato. Questo – spiega – ha provocato un aumento dei prezzi che va oltre la normale fluttuazione del mercato, anche perché si tratta di un’offerta che non si ricostruisce in poco tempo. Purtroppo l’Europa e l’Italia hanno dissipato negli anni il loro patrimonio bovino, basti pensare che in Italia oggi ci sono circa 5 milioni e mezzo di capi e quarant’anni fa ce n’erano più del doppio. Abbiamo sempre importato molto anche perché la nostra carne costava di più, naturalmente anche per una sua maggiore qualità, e per le migliore tutela degli animali e dell’ambiente. Oggi però i prezzi aumentano anche per le produzioni degli altri Paesi europei e le importazioni si stanno riducendo perché sono meno competitive».
Inoltre il Covid ha accelerato la tendenza ad acquistare più made in Italy. «Insieme a Coldiretti ormai da tempo – prosegue Scordamaglia – abbiamo rilanciato la produzione di bovini nati in Italia attraverso contratti di filiera dove gli allevatori soprattutto del centro-sud e delle isole ricevono contributi per selezionare buone fattrici e generare vitelli che poi vengono valorizzati attraverso la filiera. E siamo più sostenibili che altrove: secondo la Fao per produrre un chilo di carne bovina in Italia le emissioni di CO2 sono il 20% rispetto ad allevamenti americani o asiatici. E solo il 4% di produzione di CO2 in Italia è dovuto agli allevamenti bovini, in altre parti del mondo il dato è tre volte più alto. Questo anche perché abbiamo saputo sfruttare il poco spazio disponibile e sviluppato modelli di economia circolare, ad esempio attraverso la produzione di biogas».
Nonostante il recupero in atto dal 2018, secondo i dati Ismea, l’Italia ha perso in dieci anni il 4,7% di vacche nutrici, per cui è al settimo posto in Europa (mentre è al terzo per produzione di carne) e i capi nati n Italia sono 723mila contro gli 860mila nati all’estero. «I francesi – continua Scordamaglia – prevedono che nel giro di un paio d’anni si ridurranno significativamente le loro vacche nutrici e noi le vogliamo sostituire con quelle nate nel nostro paese. È un’evoluzione che aspettavamo da tempo. Fondamentale sarà anche il contributo del Pnrr che destina 1,2 miliardi ai contratti di filiera».
Gli acquisti domestici per Ismea sono calati nel 2021 dell’1,5% in quantità (dopo una crescita del 6,1% nel 2020) ma rimasti stabili in termini di spesa. E nel prossimo futuro difficilmente gli alti costi per i produttori non si scaricheranno almeno in parte sui consumatori. «La carne deve costare di più – dice Scordamaglia – le quotazioni sono ferme da troppi anni. Non è possibile che un prodotto per cui si chiedono standard sempre più alti possa costare poco».
IL TREND DEI CONSUMI – Dall’Igp ai marchi di qualità, le strade della diversificazione
Seppur dai tempi della mucca pazza la carne è all’avanguardia per tracciabilità, non sempre i consumatori sono consapevoli della provenienza di ciò che acquistano e di come è stato allevato. La Gdo ha creato proprie “linee di prodotto” che hanno cominciato a chiedere agli allevatori esclusivamente animali di alcune razze, alimentati in un certo modo, con meno utilizzo di farmaci eccetera, creando quindi una sorta di “bollino di qualità” controllato con criteri interni.
Hanno fatto invece più fatica ad affermarsi marchi di produttori esterni alla Gdo, regolati da disciplinari di enti terzi. Consorzio Sigillo Italiano è nato con l’obiettivo di riunire sotto il cappello di un unico marchio i produttori Sqnz – certificazione riconosciuta dal Mipaaf e a livello europeo – che rispettano determinati standard di qualità degli allevamenti in termini di alimentazione e benessere animale. Consorzio Sigillo Italiano raccoglie ormai quasi tutte le realtà capofila già esistenti in Italia – che possono decidere se continuare a usare il loro marchio o solo quello del Sigillo o associarli – come ad esempio lo storico Coalvi (razza piemontese). «Siamo operativi dal 2019 e in mezzo c’è stato un anno difficile come il 2020 – dice il managing director Giuliano Marchesin –. Dobbiamo ancora crescere, ma intanto i risultati ottenuti nei supermercati Il Gigante sono buoni». La “potenza di fuoco” non è indifferente, anche se la penetrazione in un mercato strutturato come quello della Gdo non è facile: «Circa 600mila capi macellati ogni anno in Italia – continua Marchesin – provengono da allevamenti Sqnz per un valore che si può stimare in un miliardo, sui 6 del settore». Anche se il “secondo pilastro” di Sigillo Italiano prevede l’aumento di vacche nutrici e ristalli nazionali, i capi possono provenire dall’estero, ma devono essere ingrassati in Italia per almeno 6 mesi.
Ancora differente è il caso della carne Igp – una nicchia che secondo Ismea vale al consumo 130 milioni – i cui disciplinari prevedono limiti territoriali ben precisi, anche sulla nascita dei bovini. Nonostante i ristoranti e le mense rappresentino oltre il 40% del mercato della carni Igp del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale (Chianina, Marchigiana e Romagnola), il 2020 è stato superato senza troppi traumi grazie ai supermercati. «Se qualche anno fa eravamo presenti in pochi punti vendita – spiega il presidente del Consorzio Stefano Mengoli – ora grazie alle nuove tecnologie di lavorazione e confezionamento, con tempi di conservazione più lunghi e la possibilità di vendere anche piccole quantità, siamo presenti in modo più capillare nei punti vendita. Molti margini sono assorbiti proprio dai processi di trasformazione, ma negli ultimi dieci anni la carne Igp ha potuto beneficiare di un aumento dei prezzi del 10-15%, mentre il resto del settore era fermo. Ora però abbiamo il problema dei costi che aumentano in modo molto rapido».