Il Gazzettino. Il virus non dà tregua al Veneto, parte la controffensiva negli ospedali. Luciano Flor, direttore generale della Sanità, ha dato disposizione a tutte le aziende sanitarie e ospedaliere di rivedere “l’offerta di prestazioni”, rallentando il piano di smaltimento delle liste di attesa e sospendendo le attività non urgenti, in modo da destinare i fondi e il personale alla lotta al Covid. La riorganizzazione è già cominciata, non solo con lo spostamento di medici e infermieri dai reparti ai centri vaccinali, ma anche con l’accorpamento delle Chirurgie per dare spazio alle Medicine.
Il virus non dà tregua al Veneto, parte la controffensiva negli ospedali. Luciano Flor, direttore generale della Sanità, ha dato disposizione a tutte le aziende sanitarie e ospedaliere di rivedere “l’offerta di prestazioni”, rallentando il piano di smaltimento delle liste di attesa e sospendendo le attività non urgenti, in modo da destinare i fondi e il personale alla lotta al Covid. La riorganizzazione è già cominciata, non solo con lo spostamento di medici e infermieri dai reparti ai centri vaccinali, ma anche con l’accorpamento delle Chirurgie per dare spazio alle Medicine.
I NUMERI
È il caso ad esempio di Padova, dove l’Azienda Ospedaliera ha modificato l’assetto dell’ospedale Sant’Antonio, nel quale sono saliti rispettivamente a 32 e a 7 i ricoverati in area non critica e in Terapia intensiva, da aggiungere ai 60 e ai 18 accolti al policlinico. Rispetto a un anno fa, la pressione sulle strutture sanitarie è inferiore, per effetto della vaccinazione secondo gli esperti. Tuttavia il bollettino continua a registrare numeri consistenti sul fronte dei contagi e delle vittime. Ieri sono state rilevate 2.656 nuove infezioni (su 96.040 tamponi: tasso di positività 2,76%) e sono stati contati altri 14 morti (per un totale di 11.977 dall’inizio dell’emergenza). I pazienti intubati ora sono 108 (+3), gli altri degenti risultano 568 (+15).
IL POTENZIAMENTO
Queste cifre spiegano la decisione assunta da Flor e firmata dal vicario Mauro Bonin: “L’attuale fase pandemica ed il progressivo incremento del numero di casi delle infezioni da Coronavirus, sia di contagi che di ricoveri, rende necessario un potenziamento delle azioni di contrasto all’epidemia”. Sono cinque le linee di azione che la Regione “ritiene necessario rafforzare” in questo frangente: “Ampliamento dell’offerta vaccinale, così come previsto dalle attuali disposizioni; potenziamento delle attività di “contact-tracing”, al fine di garantire una tempestiva presa in carico; presa in carico dei soggetti in isolamento domiciliare; potenziamento dell’attività di somministrazione degli anticorpi monoclonali; attivazione dei posti letto per l’assistenza semi-intensiva previsti, per rendere maggiormente appropriata la gestione dei casi”.
IL PERSONALE
Il nodo da sciogliere riguarda il personale, necessario per garantire la prevenzione e l’assistenza in ambito Covid, in un momento in cui le Regioni sono chiamate dal Governo a garantire una quantità importante di vaccinazioni (per il Veneto, l’obiettivo fissato per ieri, oggi e domani è di 32.468 somministrazioni, ma per la prossima settimana sono state previste punte di 36.527). Ecco perché scatterà la stretta all’attività ospedaliera. Innanzi tutto le aziende sanitarie “dovranno rivedere il piano aziendale di recupero delle liste di attesa dedicando le risorse assegnate, ed ancora disponibili, ad attività di contrasto alla pandemia”. Il riferimento è ai 41 milioni di euro stanziati dai decreti emergenziali e alle 200.000 prestazioni che devono essere ancora smaltite, ma questo è un aspetto complesso da affrontare, perché le Regioni erano già state “bacchettate” dalla Corte dei Conti per il mancato utilizzo dei fondi vincolati a questo specifico scopo e ora si profila dunque il loro utilizzo per un’altra finalità.
LA SOSPENSIONE
In secondo luogo le Ulss “potranno prevedere se necessario la sospensione delle attività programmate non essenziali e rinviabili”, se i rispettivi territori si trovano nella “fase 2” sulla scala (da 1 a 5) della pressione ospedaliera, che in Veneto scatta da 51 ricoverati in Terapia intensiva e da 301 degenti in area non critica, ma che su base provinciale è tarata su soglie specifiche, le quali nell’esempio di Padova sono rispettivamente 12 e 63. Le stesse aziende sanitarie, insieme a quelle ospedaliere, “dovranno” ridurre le attività se si trovano in “fase 3”, che nel caso padovano si concretizza a partire da 35 pazienti intubati e da 187 in reparto. Faranno eccezione la “chirurgia oncologica” e l’attività “non rinviabile in considerazione del quadro clinico e per la quale la prognosi e le gravi conseguenze cliniche sono fortemente influenzate dalle tempistiche di diagnosi ed intervento”. Infine “potrà essere previsto un ulteriore coinvolgimento delle strutture private accreditate”.