Se presidi e insegnanti sono stati troppe volte lasciati soli a gestire i contagi nelle loro scuole è perché con l’aumento dei contagi le Asl non ce l’hanno più fatta a rincorrere tutti i casi, dentro e fuori le aule. Tanto più che una programmazione improvvida ha spostato altrove i neo assunti dei dipartimenti di prevenzione delle Asl. Quelli che avrebbero dovuto impedire la debacle del tracciamento, che ha spinto Salute e Istruzione a firmare la circolare della discordia poi cestinata da Draghi e che, per sole 24 ore, aveva sospeso il protocollo che non manda più in dad l’intera classe se non ci sono più di due contagi. Scarica in pdf “Il virus che sfugge” La Stampa
Le ragioni del fallimento
Ma dietro la disfatta dei dipartimenti di prevenzione c’è un problema di cattiva gestione e programmazione delle forze in campo. A documentarlo sono i monitoraggi settimanali a cura dell’Iss, che dietro le fredde tabelle raccontano una storia che merita di essere raccontata. Quella di circa 3,000 sanitari addetti al contact tracing spariti nel nulla da gennaio ad oggi, lasciando così sguarnito quello che doveva essere l’avamposto della lotta al virus, nelle scuole e non solo.
Ma andiamo con ordine. Quando a marzo 2020 l’Italia viene travolta dalla pandemia, nel vocabolario degli italiani entra a far parte il termine “contact tracing”. Un’attività che consiste non solo nell’effettuare i test, ma anche nel tracciare tutti i contatti stretti di un positivo almeno nelle precedenti 48 ore. Tanto per capire, per ogni contagio in media bisogna risalire a una ventina di persone da isolare e “tamponare”. Quando si arriva a 15 mila casi al giorno, come siamo messi ora, significa andare a pescare qualcosa come 60 mila persone al giorno. E infatti quella prima trincea viene subito spazzata via dal virus, perché dopo aver imparato il nuovo vocabolo, coniato dagli inglesi maestri di epidemiologia, scopriamo anche che i nostri cacciatori di virus sono maledettamente pochi.
Così il governo decide di correre ai ripari e ad ottobre 2020 un decreto legge fortemente voluto dal ministro Speranza finanzia l’assunzione di 2 mila sanitari destinati a rimpolpare le schiere dei cacciatori di virus. Al bando rispondono in tanti e a gennaio i dati regionali riportati dal Monitoraggio settimanale dicono che in effetti la dotazione organica si è un bel po’ rafforzata. I “contatti” da rintracciare Come era già accaduto l’estate precedente, però, l’arrivo dell’estate fa abbassare la guardia un po’ a tutti, Regioni comprese. Anche perché il calo dei contagi, ci si illude, non potrà essere ribaltato in autunno perché questa volta ci sono i vaccini. Come è andata a finire lo sappiamo, ma in quel momento la nostra sanità pubblica, in carenza cronica di personale, inizia a dislocare altrove i nuovi assunti. Magari per turare le falle nei reparti o negli ambulatori.
Fatto è che da gennaio a oggi sono spariti circa tremila addetti al contact tracing. Più di quelli assunti lo scorso anno. Alla cifra si arriva calcolando che si è passati da una media di 2,5 cacciatori di virus ogni 10 mila abitanti a una che non arriva a 2. Ma è una media “del pollo”, perché le differenze regionali sono come al solito abissali. Il Lazio ha leggermente aumentato la sua dotazione organica da 1,8 a 1,9 e così ha fatto la Sicilia, passando da 2,6 a 2,9. Ad eccezione della provincia autonoma di Trento che era e resta a 2,7, tutte le altre 17 regioni hanno fatto il passo del gambero. Lasciando da parte quelle più piccole, dove poche unità di personale fanno già schizzare in alto o in basso l’indicatore, in quelle più popolose si va da un solo addetto ogni 10 mila abitanti di Lombardia e Liguria ai 2,9 di Sicilia e Veneto, mentre il Piemonte da 3,2 si è sceso a 2,6. A svuotare maggiormente i propri dipartimenti di prevenzione è stato l’Alto Adige, dove gli addetti sono stati più che dimezzati da 7,7 a 3,3, mentre il Friuli Venezia Giulia, prima regione a finire retrocessa in giallo, la caduta è da 2,6 a 1,7. Personale quasi dimezzato anche in Lombardia, che contava 1,8 cacciatori di virus ogni 10 mila abitanti e ora ne ha uno solo. In una regione con 10 milioni di abitanti significa che se a inizio anno di sanitari prepositi al contact tracing ce ne erano 1.800, ora sono rimasti in mille.
Regioni senza linee guida
A luglio Altems, la scuola di economia e management sanitari della Cattolica, aveva denunciato che solo cinque regioni – Abruzzo, Calabria, Liguria, Lombardia e Veneto – avevano emanato provvedimenti atti a definire linee guida, piani e programmi di rafforzamento del contact tracing. E a oggi allo stesso istituto non risultano pervenuti altri atti di programmazione per potenziare un’attività ritenuta cruciale dalle istituzioni sanitarie di mezzo mondo. “È importante che nelle scuole vengano dispiegate strategie per testare gli alunni, trovare i positivi, isolarli a procedere al tracciamento e alla quarantena dei loro contatti”, scriveva a luglio l’Ecdc, il Centro europeo per il controllo delle malattie. Parole evidentemente inascoltate dalle Regioni e da chi da noi gestisce la sanità. Commissariata ora dall’esercito