Il Corriere del Veneto. L’immediata ricaduta dell’inarrestabile aumento di contagi da Covid-19 registrato in Veneto nell’ultimo mese (ieri altri 870 e tre decessi) è la difficoltà delle Usl a garantire il contact tracing di tutti i positivi al tampone e dei loro contatti stretti, in media cinque a infetto. E relativa presa in carico, cioè isolamento del soggetto contagiato e quarantena dei contatti, con tamponi e monitoraggio. Il personale sanitario, già stremato da due anni in trincea, deve dividersi tra 58 centri vaccinali, 47 Covid-point per i tamponi, lavoro in ospedale, assistenza sul territorio, screening scolastici e recupero delle liste d’attesa. E sempre quello è, 61.200mila dipendenti, compresi i 5025 assunti durante la pandemia ma meno della metà a tempo indeterminato. Non possono esserlo, fino a formazione conclusa, i 1058 specializzandi e nemmeno i 323 neolaureati abilitati ma senza specializzazione.
Risultato: il tracciamento, affidato in gran parte ad assistenti sanitari e infermieri dei Servizi di Igiene e Prevenzione, arranca e nei primi 15 giorni del mese si è lasciato sfuggire 1433 positivi. Lo scrive Luciano Flor, direttore generale della Sanità regionale, ai vertici delle Usl e alla dottoressa Francesca Russo, a capo della Prevenzione: «Con l’evolversi della situazione epidemiologica della pandemia da Sars-Cov2, nell’ultimo periodo si riscontra, in forma disomogenea sul territorio regionale, un rallentamento delle attività di presa in carico dei nuovi positivi. Si sottolinea l’importanza della tempestività di presa in carico dei positivi, del tracciamento dei contatti e delle disposizioni di isolamento o quarantena per contenere il diffondersi del virus… Visto l’aumento dei casi soprattutto nelle fasce d’età scolastica, si raccomanda l’attivazione di percorsi dedicati. Tutto quanto sopra descritto — chiude Flor — richiede sin da subito il rafforzamento dei Servizi di Igiene e Sanità pubblica». Il dg allega poi l’allegato con le performance delle nove Usl dal primo al 15 novembre, dal quale si evince che la sola Usl Euganea non ha preso in carico 724 soggetti positivi al tampone, sul totale regionale di 1433; la Berica se n’è lasciata sfuggire 212, la Pedemontana 187, mentre la Dolomiti li ha tracciati tutti. I giorni più critici sono stati il 14 novembre, con 355 contagiati non rintracciati, e il 12, con altri 313 non presi in carico. C’è di più: nel periodo indicato la capacità di monitoraggio dei sintomatici e l’eventuale data di inizio sintomi va dal 99,8% dell’Usl Dolomiti al 69,3% dell’Usl Euganea e al 72% della Berica, passando per l’86,9% di media regionale.
«Noi contiamo 50 casi al giorno, l’anno scorso erano 350 e anche qui il contact tracing aveva vacillato — spiega il dottor Sandro Cinquetti, direttore del Dipartimento di Prevenzione all’Usl Dolomiti — se adesso prosegue bene lo si deve alla combinazione di due fattori. Un bacino di 200mila utenti, che rappresenta un 25esimo del bacino regionale a fronte del milione di assistiti di Padova o Verona che contano invece per un quinto; e l’organizzazione del servizio. Abbiamo attivato un gruppo di 15 tracciatori tra assistenti sanitari e infermieri, distribuiti in turni di 12 ore al giorno, dal lunedì alla domenica. Dopo due anni di esperienza sono molto competenti, sanno come gestire anche le situazioni più complicate e sono veloci. Ci sono tre fasce di allerta — aggiunge il medico — quando l’incidenza settimanale è sotto i 50 casi per 100mila abitanti il contact tracing va bene; se sale tra 50 e 100 casi per 100mila va benino; oltre i 100 contagi per 100mila abitanti, quadro attuale, iniziano le difficoltà». Il Veneto ha raggiunto un’incidenza di 166,1 casi per 100mila abitanti, con Padova a quota 179, Vicenza a 152, Treviso a 147, Venezia a 145, Belluno a 119, Rovigo a 108 e Verona a 105. «Teniamo duro, perché la diagnostica con il tampone, la presa in carico dei positivi e la campagna vaccinale sono le tre linee di lavoro — chiude Cinquetti —. Ogni soggetto contagiato viene sentito per mezz’ora al telefono per capire dove potrebbe aver contratto l’infezione e a chi potrebbe averla trasmessa. Ma quando i casi sono molti, i tracciatori dedicano l’ultima ora di lavoro a una decina di telefonate fast, con le quali comunicano la positività del tampone all’interessato, gli chiedono di compilare l’elenco dei contatti stretti e di avvisarli che nel giro di 24/48 saranno chiamati dall’Usl di riferimento».
Nelle Usl grandi è ancora più dura. «C’è stato un momento in cui abbiamo dovuto scegliere se fare le vaccinazioni o il contact tracing — ammette Giusi Bonavina, direttore generale dell’Usl Berica — ma mercoledì scorso ho assunto altro personale per il tracciamento, tra infermieri, assistenti sanitari e amministrativi. In parte il servizio è in appalto e per recuperarne ulteriori unità abbiamo ridotto i tamponi a pagamento per il Green Pass. I diritti sono di tutti, ma chi collabora affinché il mondo possa uscire dalla pandemia ne ha di più».