Comincia a diventare critica la situazione del Veneto, la marcia verso l’area di rischio gialla sembra accelerare. Ieri un nuovo picco di contagi da Covid-19, 1.278, e cinque vittime, che salgono tristemente a 11.881. Ma i sorvegliati speciali sono i ricoveri, che continuano ad aumentare, toccando quota 325 (+8) in Malattie infettive e Pneumologia e 65 (+1) in Terapia intensiva. I tre parametri che decretano il passaggio in giallo sono infatti: un’incidenza pari o superiore a 50 casi per 100mila abitanti, e il Veneto è a 115,3 per 100mila; un tasso di occupazione del 10% in Terapia intensiva riferito ai soli pazienti Covid, cioè 100 letti sui mille dichiarati e siamo già a 65 (6%); il 15% di occupazione in area medica, ovvero 900 dei 6mila posti letto in dotazione e dal 7 novembre il trend è passato da 211 a 325 (5%).
«L’indice di replicazione diagnostica, l’Rt, è pari a 1,42 a livello nazionale e superiore a 1 in tutte le regioni (in Veneto è a 1,23) — avverte l’Associazione italiana di Epidemiologia — indicando una significativa accelerazione nella diffusione dei contagi che, a parità di condizioni, potrebbe portare tra due settimane cinque regioni (Friuli Venezia Giulia, Bolzano, Veneto, Marche e Campania, ndr ) a superare la soglia del tasso di incidenza settimanale di 250 casi per 100mila abitanti». Non è finita: se venerdì, giorno del monitoraggio della cabina di regia del ministero della Salute con l’Istituto superiore di Sanità e di conseguente riclassificazione delle Regioni nelle zone colore, i dati peggioreranno ulteriormente, il governo è pronto ad adottare nuove misure per inizio dicembre. E al vaglio, oltre alla riduzione della durata del Green pass da 12 a 9 mesi, al divieto di accesso a ristoranti, cinema, teatri e stadi per i non vaccinati, che dovranno pure sottoporsi a tampone molecolare ogni 48 ore per lavorare, ci sarebbe l’eliminazione del parametro del 15% di occupazione dell’area medica per il passaggio al colore successivo. Rimarrebbero l’incidenza a 50 per 100mila e il 10% di occupazione in Terapia intensiva e allora per il Veneto davvero suonerebbe l’allarme.
In attesa di novità , la Regione ha dato disposizione alle Usl di attivare progressivamente altri 81 posti letto in Terapia intensiva, dopo averli già aumentati da 495 a 520. E nei Pronto Soccorso sui 2.695 accessi complessivi registrati lunedì (contro i 2.461 dello stesso giorno del 2020 e i 4.928 del 2019) il 24%, cioè 647, sono casi sospetti di coronavirus. Ciò significa che si rischia di tornare alla situazione delle altre ondate pandemiche, quando molti reparti furono gradualmente riconvertiti in aree Covid. «Con una differenza fondamentale — sottolinea il professor Vincenzo Baldo, presidente per il Triveneto della Società italiana d’Igiene e ordinario all’Università di Padova — il vaccino. Se non ci fosse, a quest’ora i ricoveri sarebbero almeno il triplo». In effetti il 16 novembre 2020 il Veneto contava 1.966 nuovi casi, 22 decessi, 2.094 degenti in area medica (+48 rispetto alle 24 ore precedenti) e 265 (+12) in Terapia intensiva. «A questa quarta ondata stanno contribuendo in modo decisivo le manifestazioni di piazza dei no vax, tutti senza mascherina — aggiunge Baldo — un 28% di popolazione non vaccinabile perché sotto i 12 anni o per quadro clinico incompatibile e un altro 20% tra persone non rispondenti all’anti-Covid e soggetti nei quali gli anticorpi, a sei mesi dalla seconda dose, sono crollati. Non sappiamo quando arriverà il picco, ma è indispensabile assumere la terza dose, continuare a usare la mascherina, a osservare la distanza sociale e a igienizzarsi le mani».
A proposito di terze dosi domani dovrebbe uscire il nuovo decreto che ne impone l’obbligo per personale e ospiti delle Rsa e per i sanitari, il 50% dei quali nel Veneto (contro il 30% di media nazionale) non l’ha ancora assunta. E infatti 296 di loro questa settimana sono risultati positivi al tampone. «Sono d’accordo con l’obbligo, è coerente con lo stesso diktat imposto per il ciclo vaccinale primario ed è una tutela per noi e per i pazienti — dice Giovanni Leone, segretario regionale della Cimo (ospedalieri) —. Io l’ho assunta l’11 ottobre ed è necessaria, soprattutto in questo momento, in cui dobbiamo prepararci alla riconversione degli ospedali».