Michele Bocci, Repubblica. Oggi presidiare la prima linea è molto stressante. Non solo per il Covid ma anche per la richiesta di aiuto di chi ha interrotto o rinviato le cure a causa della pandemia. Così medici e infermieri stanno fuggendo dai pronto soccorso. Contro la grave crisi di vocazioni il ministero alla Salute ha deciso di creare una nuova indennità. Dal primo gennaio 2022 verranno messi a disposizione 90 milioni di euro per coloro che permettono di tenere aperta 24 ore su 24 quella che viene definita la porta dell’ospedale.
Si tratta di un incentivo col quale si vuole fermare l’emorragia dai pronto soccorso. I tecnici di Roberto Speranza hanno preparato un articolo da inserire nella manovra per riconoscere «le particolari condizioni di lavoro» di questo personale «dipendente delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale ». A suo modo si tratta di una rivoluzione, visto che viene introdotta una nuova indennità accessoria in sanità. Sempre nella norma è previsto che gli importi annui siano di 27 milioni per i medici, che sono circa 10mila, e di 63 milioni per gli infermieri, che sono circa 25 mila. Si tratta di soldi in più che entrano in busta paga solo se la presenza in servizio è “effettiva”. Probabilmente quindi l’indennità sarà calcolata su base oraria. Ovviamente chi si sposterà a lavorare in un altro settore la perderà. La novità partirà dal primo gennaio dell’anno prossimo, visto che appunto è ancorata alla manovra. Il denaro necessario arriverà attraverso il fondo sanitario nazionale, che è stato incrementato di 2 miliardi all’anno per i prossimi tre anni. Le Regioni quindi saranno tenute a spendere quella quota del fondo per la nuova indennità, che diventerà parte del rapporto contrattuale e probabilmente verrà poi inserito negli accordi collettivi.
È stato Speranza a spingere perché nascesse l’indennità e nella scelta hanno pesato molti fattori, che in questo momento rendono durissimo il lavoro nell’emergenza. Ad esempio questo è il settore nel quale si registrano più aggressioni ai professionisti da parte di pazienti o familiari e conoscenti. Spesso c’è tensione nelle sale dell’emergenza. A non mancare mai comunque è la stanchezza, come denunciano ormai da tempo sindacati e società scientifiche che hanno organizzato per il 17 novembre una manifestazione nazionale a Roma.
Da Simeu, che è la società della medicina di emergenza e urgenza spiegano in modo molto eloquente: «Oggi ci ritroviamo prostrati ed esausti a continuare a combattere su due fronti mentre affrontiamo una crisi strutturale mai vissuta prima. Le problematiche che ci affliggono sono numerose e non hanno ancora ricevuto costruttive attenzioni ». Il personale nei pronto soccorso è carente, mancherebbero infatti 4mila medici e addirittura 10mila infermieri, tanti scelgono di lasciare, appena si apre un concorso per medicina interna sono molti quelli che si iscrivono per spostarsi in un reparto giudicato meno pesante.
In più il 40% dei posti nelle scuole di specializzazione quest’anno sono rimasti vuoti, perché evidentemente il lavoro in prima linea non attrae i giovani. Troppi turni di notte nei quali il lavoro non diminuisce mai, troppi weekend impegnati e appunto, almeno fino ad ora, nessun incentivo economico. Addirittura quello al pronto soccorso, protestano da Simeu, non ha avuto il riconoscimento di lavoro usurante come invece sono quelli in terapia intensiva e radiologia. Il ministero quindi cerca intanto di frenare la crisi con un’indennità specifica, mentre già si è annunciato, riguardo al problema generale di carenze in sanità, che sempre nella manovra verranno messi in regola i contratti a termine avviati con l’emergenza Covid. Sarebbero circa 50mila. E a proposito di questo, sempre in manovra c’è un articolo con il quale vengono confermate le Usca, “unità speciali di continuità assistenziale”, che sono state create dopo l’inizio della pandemia per dare tra l’altro assistenza domiciliare ai sospetti casi di Covid e a quelli conclamati, dai quali i medici di famiglia non andavano. Le Usca si sono rivelate molto utili non solo per l’assistenza a domicilio e continueranno a lavorare fino a giugno del 2022, quando partirà tutta la riorganizzazione dell’assistenza territoriale con la quale potrebbero essere inserite stabilmente nel sistema sanitario nazionale.