Repubblica. È successo raramente che i ricoveri per Covid crescessero allo stesso ritmo, se non più velocemente delle infezioni. Di solito, ad esempio alla fine dell’estate 2020, si osservava la curva dei nuovi casi salire per la diffusione del virus tra i giovani e poi, dopo due o tre settimane, si vedevano i letti ospedalieri riempirsi perché i ragazzi avevano contagiato nonni e genitori. Questa volta no. L’Rt dei ricoveri, stimato dall’Istituto superiore di sanità nell’ultima Cabina di regia è già sopra la soglia di 1, cioè a 1,13. Il dato calcola quanto cresce di settimana in settimana il numero delle persone che hanno bisogno dell’assistenza ospedaliera. Se erano 100, diventano dopo sette giorni 113. L’Rt dei casi sintomatici comunicato venerdì è più basso, cioè 0,96, ma la previsione è che salga a 1,14. Si osserva quindi una crescita praticamente contemporanea.
Cosa sta succedendo? Intanto l’Istituto superiore di sanità ieri ha reso noto che con l’incidenza che è salita in tutte le fasce di età, il 24% dei casi sono stati diagnosticati tra under 20, e oltre la metà (il 54%) tra chi non è vaccinabile, cioè gli under 12. Ma queste persone non vanno in ospedale. Quindi così non si spiega la crescita dei ricoveri. Gli esperti si arrovellano per capire come mai la pandemia sta riprendendo. Può essere l’effetto (un po’ ritardato) dell’apertura delle scuole, come delle differenze di copertura vaccinale tra le Regioni o addirittura delle manifestazioni di piazza (lo suggerisce il caso Trieste). Ma la crescita è abbastanza omogenea tra le Regioni. Poi c’è l’elemento autunno, che porta le persone a stare negli spazi al chiuso, dove il contagio è più facile. Qualunque sia la ragione, gli ospedali vedono di nuovo un aumento dei malati. I ricoveri totali ieri erano 3.053, cioè oltre il 9% in più di quelli del sabato precedente. Inferiore l’aumento dell’occupazione delle terapie intensive.
Prova a spiegare cosa sta accadendo Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società di malattie infettive e primario a Tor Vergata. «La situazione ci deve un po’ preoccupare. Noi diciamo sempre che i vaccinati non fanno la malattia grave e questo è vero in termini assoluti ma non sempre nei casi specifici. Purtroppo qualche vaccinato con due dosi fragile sta iniziando ad arrivare in ospedale. Il numero non è alto ma dobbiamo stare attenti e soprattutto procedere con le terze dosi. allargandole in modo abbastanza rapido e generalizzato. Forse l’attesa di sei mesi dalla seconda è troppo lunga». Il calo delle coperture potrebbe giocare un ruolo nella crescita dei ricoveri. Andreoni spiega che «se lasciamo circolare troppo, questo virus si diffonde di nuovo. Dobbiamo ridurre i non vaccinati, fare le terze dosi ma anche continuare con le misure di contenimento».
Nel rapporto settimanale dell’Istituto superiore di sanità però l’indebolimento dei vaccini ancora non si osserva. «Resta elevata l’efficacia vaccinale nel prevenire l’ ospedalizzazione (92%), il ricovero in terapia intensiva (95%) o il decesso (91%) nella fase epidemica con variante Delta prevalente», è scritto nel documento. Tra i ricoverati sono più numerosi coloro che non hanno fatto la vaccinazione, anche se in tutte le fasce di età le persone che completato il ciclo di protezione sono molte di più (tra il 67 e l’87% del totale). Fanno eccezione gli ultra ottantenni ma in questa categoria i vaccinati sono 4.2 milioni contro 240mila. Per questo motivo gli anziani ricoverati che hanno ricevuto le somministrazioni sono più di quelli che non le hanno fatte. E infatti se si calcola il tasso di ospedalizzazione, cioè i ricoveri ogni 100mila abitanti, in questa fascia di età «si evidenzia come questo sia circa sette volte più alto per i non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo». La stessa proporzione vale anche per i ricoveri in terapia intensiva, mentre il dato dei decessi è addirittura undici volte più alto nei non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo.