Sanità informazione. Secondo Federico Gelli l’obbligo di inoculazione della dose “booster” anche per gli operatori sanitari sarebbe, alla luce di questa sentenza, «doveroso». Ma è davvero così? Cosa dice la sentenza? Lo abbiamo chiesto all’avv. Andrea Marziale, specializzato in Diritto del Lavoro e Sanitario
Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di alcuni operatori sanitari non vaccinati. Una sentenza lunga più di 40 pagine in cui vengono spiegati tutti i motivi per i quali l’obbligo vaccinale imposto agli «esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario […] che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali» è legittimo.
Parliamo dunque di una sentenza che non sconvolge l’impianto attuale delle cose e che anzi rafforza un principio già espresso e condiviso. Eppure, proprio per questi motivi potrebbe rappresentare un punto di non ritorno e aprire la strada al possibile (se non addirittura probabile) obbligo per gli operatori sanitari di sottoporsi alla terza dose di vaccino.
«Doveroso estendere obbligo per operatori sanitari anche alla terza dose»
Federico Gelli, padre della Legge 24 del 2017 sulla responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria, auspica che questa sentenza apra le porte all’«obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari anche per la terza dose» in quanto nella stessa è stata richiamata anche la Legge Gelli «per quella parte che riguarda sia la sicurezza dei luoghi di lavoro che la sicurezza delle cure. Quest’ultima – spiega – è parte costitutiva del diritto alla salute» e «nel dovere di cura rientra anche il dovere di tutela del paziente che ha fiducia non solo del luogo in cui si cura ma anche nella sicurezza di chi lo andrà a curare».
Considerato poi che, a quanto emerge dalle evidenze scientifiche sin qui raccolte, la protezione offerta dal vaccino cala con l’andare del tempo (e per questo è già prevista la terza dose per determinate categorie di persone), l’obbligo di inoculazione della dose “booster” anche per gli operatori sanitari per Gelli sarebbe, alla luce di questa sentenza, addirittura «doveroso». Ma è davvero così? Cosa dice la sentenza? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Andrea Marziale (partner di QUORUM e consulente di Consulcesi & Partners), specializzato in Diritto del Lavoro e Sanitario.
«Paradossale se chi entra in ospedale per migliorare le proprie condizioni di salute venga contagiato da sanitario no vax»
«La sentenza del Consiglio di Stato – spiega l’avvocato Marziale – ribadisce sostanzialmente l’obbligo già previsto dal Dl 44 per gli operatori sanitari. E lo fa descrivendo dettagliatamente le evidenze scientifiche che dimostrano la validità dei vaccini». Non solo: «Nella sentenza si arriva anche ad un macabro paradosso, ovvero quello in cui una persona, che entra in una struttura sanitaria per farsi curare, potrebbe correre il rischio di veder peggiorare le sue condizioni di salute, o addirittura perdere la vita, a causa di un operatore sanitario che per svariati motivi ha deciso di non vaccinarsi».
Per questo, se si possono anche avere opinioni discordanti sul Green pass per i lavoratori privati (e le diverse strade scelte dai vari Paesi stanno lì a dimostrarlo), meno opinabile sembra essere la necessità di un personale sanitario vaccinato: «La grossa differenza tra il Green pass nel settore privato e l’obbligo vaccinale in quello sanitario – spiega l’avvocato – sta nel fatto che, se da un lato esistono tipologie di lavoro che potrebbero anche essere svolte in solitudine e in smart working, gli operatori sanitari svolgono un servizio pubblico essenziale a diretto contatto con persone malate, e in buona parte addirittura fragili, che devono essere curate nel massimo della sicurezza possibile».
Il contagio in ospedale rischio accettabile? «Una cosa è l’errore medico, un’altra un danno provocato da scelta consapevole»
Ammettendo anche che non tutti i pazienti vedono migliorare la propria salute tra le mura di un ospedale (e ci mancherebbe altro), c’è da fare una differenza importante tra errore medico e scelta deliberata di esporre il paziente ad un rischio. «Fatti salvi gli episodi di dolo o colpa grave, l’errore in sanità può capitare – spiega ancora l’avvocato Marziale –, ma se un professionista decide di non vaccinarsi, l’eventuale contagio di un paziente non può essere considerato un errore ma una scelta consapevole di cui si conoscevano i rischi». Insomma, un conto è sbagliare una complicata operazione chirurgica, un’altra è operare il paziente con un bisturi volontariamente non sterilizzato in precedenza.
La sentenza apre all’obbligatorietà della terza dose per il personale sanitario?
«La sentenza non lo dice esplicitamente – spiega Marziale –, ma di certo possiamo dire che rafforza il principio alla base dell’obbligo vaccinale che esiste già». E questo per una serie di motivi: «A partire dal giuramento di Ippocrate ma anche dalla premessa del Dl 44 che evidenzia espressamente che tutto questo è stato fatto per tutelare la salute pubblica. In particolare, il punto 31.1 della sentenza richiama il principio di solidarietà, un principio contenuto nell’articolo 2 della nostra Costituzione, in quanto l’operatore sanitario ha l’obbligo di tutelare la salute delle categorie più vulnerabili. E se un operatore sanitario non è vaccinato, espone al rischio sia sé stesso che i suoi pazienti».
Ed è per questi motivi che la sentenza del Consiglio di Stato, pur non parlando esplicitamente di obbligo di terza dose di vaccino anti-Covid, «sicuramente può aver tracciato la strada» a questa eventualità che, man mano che passano i giorni, diventa sempre più concreta.