La peste suina degli altri: Puerto Rico dista oltre 2000 chilometri dai celebri allevamenti dell’Iowa, il regno dell’American Pork. Eppure, come riferito nei giorni scorsi da Bloomberg, ora la malattia fa paura negli Stati Uniti, dove non si registra un focolaio da oltre 40 anni. Per dare un’idea di cosa voglia dire basti sapere che gli Stati Uniti sono il più grande produttore di carne di maiale al mondo dopo la Cina. L’industria di hot dog e salsicce ha un fatturato pari a 7,7 miliardi di dollari. Questo rende comprensibile il fatto che non si voglia far arrivare il virus a riva. A fine luglio
il contagio è stato documentato negli allevamenti della Repubblica Dominicana a settembre nella poverissima Haiti, ultima di una serie di calamità bibliche che hanno colpito il paese più povero del mondo.
Il timore malcelato, quello di un divieto di esportazione in tutti gli Stati Uniti, è una paura che conoscono bene tutti i produttori di carne suina in Sardegna dove, sebbene dopo due anni siano ripresi gli abbattimenti di suini bradi, l’epidemia sembra scomparsa.
Se nelle vicine repubbliche caraibiche la Psa potrebbe portare una catastrofe umanitaria negli Stati Uniti creerebbe una sicura catastrofe economica. In Sardegna sappiamo bene cosa sia la Psa, una malattia emorragica che porta alla morte degli animali contagiati in circa dieci giorni. Non ci sono soluzioni se non l’abbattimento massiccio dei capi.
Con Bloomberg ha parlato Liz Wagstrom, capo veterinario del National Pork Producers Council, gruppo che rappresenta 60.000 allevatori di maiali statunitensi. «Questa è probabilmente la malattia dei maiali più temuta».
La Repubblica Dominicana ha già abbattuto più di 65.700 suini quest’anno nel tentativo di evitare il ripetersi dell’epidemia degli anni ’70 (fu sterminato l’intero bestiame, più di 1,4 milioni di animali).
Porto Rico ha recentemente vietato l’esportazione o il trasporto di prodotti a base di carne di maiale nel continente americano, compresa l’onnipresente empanadilla, una prelibatezza locale. E i porti e gli aeroporti dell’isola sono monitorati, anche da cani che annusano la carne di maiale.
Tuttavia le frontiere Usa non sono impermeabili. Ma le rotte del traffico di migranti non sono controllabili e il rischio di esportazione clandestina negli Stati Uniti e altissimo.
In Germania
Se l’America non ride, l’Europa piange. A quasi due mesi dal primo caso di peste suina africana registrato dalle autorità, è ora allarme in tutta la Germania per il diffondersi del virus. Il contagio sta mettendo a rischio gli allevamenti di tutto il paese. Nonostante le misure di contrasto anche la Sassonia a fine ottobre ha segnalato il suo primo caso confermato di peste suina africana tra i cinghiali. L’istituto Friedrich Loeffler infatti ha confermato che il 27 ottobre un cinghiale ucciso nel distretto di Görlitz è risultato infettato. Il pericolo è che ora la malattia. Se la malattia arrivasse agli allevamenti industriali, sarebbe una vera e propria catastrofe.
Nell’Isola
Quanto impiegherebbe il virus per arrivare agli altri Paesi europei? Paradossalmente per la Sardegna potrebbe esserci il pericolo di un virus che rientra dalla finestra dopo anni di battaglie e sanzioni.
In Sardegna l’ultimo focolaio è stato riscontrato nel 2018 in un allevamento di Mamoiada. Il primo invece risale al lontano 1978. Da allora sono passati 43 anni. Nella lotta alla peste, ormai quasi vinta, ha avuto un ruolo decisivo l’Unità di progetto, che ha debellato l’allevamento brado, principale causa di diffusione della malattia.
https://www.unionesarda.it/news-sardegna/la-peste-suina-negli-altri-paesi-w096sx5x