Repubblica. Walter Ricciardi è ordinario di Igiene alla Cattolica, direttore scientifico della Maugeri di Pavia e tante altre cose. Per le questioni internazionali legate al coronavirus è consulente del ministro alla Salute Roberto Speranza. Per mesi ha avuto una posizione molto netta riguardo alla necessità di intervenire duramente, con misure importanti, per affrontare la pandemia. Adesso vede una situazione molto migliorata, che non deve far abbassare la guardia, ma permette di pensare anche ad attenuare lo stato di emergenza.
L’obbligo del Green Pass serve?
«La misura ha già rivelato la sua efficacia e la dimostrerà ulteriormente, come è successo in Danimarca. Ci permetterà di tornare alla normalità e svolgere in sicurezza le attività al chiuso, alle quali non parteciperanno soggetti infetti e contagiosi».
E le polemiche di una parte di lavoratori?
«A protestare sono una minoranza. Come si è visto non riescono a comprendere quanto questa pandemia sia pericolosa. Se non tuteliamo la salute e l’economia, cioè il lavoro, ci troviamo nei guai. Invece noi siamo tra i migliori al mondo in questo senso».
Le vaccinazioni sono aumentate grazie al Green Pass e il 90% di prime dosi non è lontano. Basterà raggiungerlo per stare tranquilli?
«Sicuramente quella percentuale ci porrà in una condizione di maggiore serenità. Non è sufficiente a eradicare il coronavirus perché i bambini non sono ancora coinvolti nella campagna ma comunque darà un contributo straordinario alla sicurezza. Già adesso il problema sta diventando individuale e non collettivo, il sistema sanitario non è sotto pressione. Quindi il 90% va bene ma quando si potranno vaccinare anche i bambini dovremo mantenere la stessa copertura sul totale della popolazione».
Con questi numeri e coperture lo stato di emergenza nazionale, che scade il 31 dicembre, si potrà togliere?
«Diciamo che ci avviamo per lo meno a una situazione di sicurezza, anche se la pandemia non è finita. Quindi il nostro stato di emergenza pian piano si può attenuare. Siamo però circondati da Paesi, sia europei, con dati all’Est drammatici, per non parlare del resto del mondo, Usa in primis, dove ci sono numeri raccapriccianti. E ne usciremo quando tutti nel mondo si vaccineranno».
Come mai in Inghilterra ci sono 45 mila casi al giorno?
«Hanno fatto finta che la pandemia fosse finita e dal 17 luglio hanno sospeso tutte le misure confidando sul fatto che un’elevata copertura vaccinale bastasse a proteggerli. Sono stati degli illusi. Adesso hanno tanti malati e tanti decessi e il tempo è ancora abbastanza buono. Figuriamoci cosa succederà quando arriveranno il freddo e l’influenza. Hanno già il sistema sanitario ingolfato».
A centinaia di migliaia da venerdì scorso fanno i tamponi per lavorare, si stancheranno?
«È logorante fare il test ogni due giorni. Andare avanti a lungo può diventare un problema sia dal punto di vista fisico che economico. La cosa migliore è sfruttare i vaccini».
I No Vax parlano ancora di medicinali sperimentali.
«Non è vero, sono sperimentati e in queste settimane, in tutto il mondo, hanno dimostrato una sicurezza e una efficacia incredibili. Magari tutti i vaccini fossero così».
Perché anche se sono aumentati i tamponi, negli ultimi due giorni, il numero dei casi è rimasto più o meno lo stesso?
«È merito delle elevate coperture. Ma la vaccinazione da sola non basta, bisogna continuare ad avere misure di sanità pubblica per non finire come l’Inghilterra».
C’è comunque il rischio di vedere crescere i casi anche in Italia?
«Presumibilmente anche da noi i casi risaliranno un po’ perché c’è un bacino d i suscettibilità importante, parliamo di milioni di abitanti e abbiamo una variante contagiosa.
Non sarà però un problema per il sistema sanitario affrontare l’eventuale aumento di richiesta di assistenza».
Per ridurre il bacino di suscettibili andrebbe messo l’obbligo?
«Ormai siamo ben protetti, soprattutto i fragili ma anche i giovani, e il gioco non vale la candela. Certo, mettere l’obbligo eticamente significherebbe evitare delle morti, che ci saranno. Bisognerebbe imporre una cosa che certe persone non vogliono per salvare loro la vita. Ma di fronte alle polemiche e alle sensibilità nei confronti di questo tema conviene continuare senza».
Abbiamo aperto troppo presto alle terze dosi per gli over 60?
«Assolutamente no. Uno degli errori di Israele è stato quello di sottovalutare l’importanza della terza dose. Hanno avuto anziani e fragili che si sono ammalati mentre la aspettavano. Si sono mossi tardi ed è partita la quarta ondata. Noi abbiamo imparato da loro e abbiamo fatto le scelte nei tempi giusti».
Ci sarà bisogno di scendere anche sotto i 60 anni?
«Ancora non si può dire, è probabile che nel 2022, se continua la pandemia nel resto del mondo e si osservasse una riduzione degli anticorpi nei vaccinati, possa esserci una risalita della curva. Al momento però il problema non si pone. Se proteggiamo con la terza dose gli ultra sessantenni e i fragili otterremo una buona protezione contro la circolazione del virus».
Michele Bocci, Repubblica