Il Corriere della Sera. La chiave è nello scarto tra due cifre e in un’agenda che si fa sempre più stringente. Il governo sta entrando nelle settimane che, dopo l’elaborazione del Recovery plan, daranno forma in maniera decisiva alla politica economica dell’Italia. Entro la prossima settimana — al più tardi, all’inizio della seguente — varerà la legge di concorrenza sulla quale l’Italia è impegnata a Bruxelles per ricevere i fondi europei. Nei giorni seguenti il Consiglio dei ministri varerà una legge di bilancio molto espansiva, pensata per sostenere la ripresa almeno finché l’Italia non sarà tornata sul sentiero di crescita che avrebbe avuto senza il collasso economico inflitto da Covid.
È per questo che lo scarto fra due cifre contenute nell’ultima nota finanziaria del governo resta l’informazione fondamentale. Quel dato è l’architrave della manovra di bilancio. Lo scarto è fra il deficit «tendenziale» al 4,4% del prodotto lordo (che si avrebbe se il governo non intervenisse) e quello «programmatico» al 5,6% (dovuto agli interventi). Quello scarto vale l’1,2% di un prodotto lordo previsto nel 2022 di 1.882 miliardi di euro. In sostanza la legge di bilancio distribuirà all’economia circa 23 miliardi, in disavanzo. E la discussione sulle voci principali alle quali dirigere le risorse, per quanto tutt’altro che chiusa, è così avanzata da lasciar intravedere alcuni punti di sbocco. Anche su partite impensabili fino a pochi mesi fa.
Ricalcolo del carovita
La più sorprendente riguarda l’antico fenomeno che ha ripreso ad aggirarsi per l’Europa: l’inflazione. Indotto dallo choc energetico e dalle strozzature nelle filiere industriali, l’aumento dei prezzi al consumo rischia di erodere il potere d’acquisto delle pensioni. Queste ultime però sono ancorate proprio al carovita, per l’esattezza sono indicizzate all’inflazione sulla base di un metodo di calcolo che scade alla fine di quest’anno. La sostanza è che il governo dovrà trovare risorse per circa due miliardi destinate a compensare la perdita di potere d’acquisto dei pensionati. Erano molti anni che non accedeva, non su queste entità. Ma gli equilibri globali dopo la pandemia promettono di essere diversi da quelli all’indomani della crisi finanziaria.
Giù il cuneo fiscale
Il cuore della legge di bilancio è però negli impegni già iscritti nella legge delega sul Fisco approvata martedì. Fra questi il più importante riguarda il taglio per almeno 5 o 6 miliardi del cuneo fiscale, ossia dello scarto fra il costo del lavoro per i datori e la somma netta percepita dai dipendenti. Proprio martedì il ministro dell’Economia Daniele Franco ha ricordato che in Italia il cuneo per un lavoratore con un reddito medio è del 5% superiore alla media degli altri Paesi europei e di 11% alla media delle democrazie avanzate. Chi lavora in Italia guadagna relativamente poco anche se i costi lordi elevati per il datore di lavoro bloccano la creazione di nuovi posti. L’attenzione si concentra su uno scaglione dell’imposta sui redditi personali (Irpef), quello dell’aliquota marginale al 38% che colpisce i sette milioni di italiani con un reddito fra 28 mila e 55 mila euro. L’aliquota immediatamente sotto è lontana, al 27%. Ma per ridurre in maniera percepibile questo scarto non bastano i quattro miliardi che dovrebbero emergere entro il 2024 dalla lotta all’evasione. Franco sembra determinato a usare le risorse disponibili per un taglio almeno da sei miliardi. Si capirà in anni a venire come sarà finanziato quando la politica di bilancio non potrà più restare espansiva.
Reddito e quota 100
La legge finanziaria si misurerà poi con due eredità del governo gialloverde: quota 100 in scadenza e il reddito di cittadinanza, che nel 2022 costerebbe tre miliardi di più per gli strascichi sociali della crisi. Quanto a quest’ultimo, il governo pensa a meccanismi più stringenti di accesso e mantenimento dell’assegno (anche per evitare le frodi di chi potrebbe lavorare e non lo fa, o lo fa in nero). Invece per rendere graduale l’innalzamento dell’età del ritiro da 62 a 67 anni dopo quota 100 — con criteri sui mestieri «usuranti» — lo stanziamento potrebbe essere di 2,5-3 miliardi. Ma nei partiti c’è chi chiede molto di più.
Ammortizzatori
L’inclusione delle piccole e piccolissime imprese nella cassa integrazione, commercio al dettaglio incluso, potrebbe poi costare 4,5-5 miliardi. Mesi fa il ministro del Lavoro Andrea Orlando ne chiedeva dieci, poi otto. Resta da capire come si finanzierà l’operazione dai prossimi anni, quando le imprese del commercio resisteranno all’idea di versare contributi nel sistema. Infine, la legge di concorrenza resta aperta ormai solo su tre fronti: l’apertura a nuovi entranti nelle concessioni di spazio agli ambulanti e ai gestori delle spiagge, oltre ai criteri di «accreditamento» della sanità privata.