Altro che proroga di Quota 100 e Super Ape sociale. Il pacchetto pensioni che finirà nella prossima legge di bilancio dovrà prevedere innanzitutto un’altra, ineludibile, posta: la rivalutazione di 22,8 milioni di assegni previdenziali all’inflazione. E non sarà un capitolo leggero, visto che l’aumento dei prezzi nel 2021 – la cui fiammata in coda d’anno è ormai evidente: dalle bollette di luce e gas al carrello della spesa – si candida a essere il più alto degli ultimi nove anni.
Un conto da 4 miliardi
Se alla fine il tasso di inflazione per il 2021 sarà dell’1,5% – come stima la Nadef, il documento di economia e finanza appena aggiornato dal governo – in manovra dovrebbe finire una cifra attorno ai 4 miliardi per adeguare le pensioni nel 2022. E soprattutto un metodo per distribuirli, visto che quello triennale approvato dal primo governo Conte (M5S-Lega) nel 2019 scade il prossimo 31 dicembre. Dal primo gennaio 2022, senza correttivi, si torna ai tre “scaglioni Prodi”, molto più convenienti per i pensionati. Meno per i conti pubblici. Lasciare tutto com’è – le 7 fasce gialloverdi poi diventate 6 – costerebbe “solo” 3,9 miliardi, tornare a Prodi 4,4 miliardi: mezzo miliardo di differenza, non poco.
L’indice Foi
Perequare, cioè adeguare, le pensioni all’andamento del costo della vita significa tecnicamente applicare a tutte le pensioni – dirette, come vecchiaia e anticipata, e indirette, come quelle ai superstiti l’indice Foi elaborato da Istat, ovvero la variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati tra 2021 e 2020. L’ultimo dato di agosto era al +2,1%. Nei primi mesi del 2021 stavamo tra +0,2 e +0,7. Quest’anno le pensioni non sono state rivalutate perché l’inflazione prevista in via provvisoria per il 2020 era negativa, quindi portata a zero. L’anno scorso le pensioni sono aumentate dello 0,5. Nel 2022 l’impatto salirà.
Quanti soldi arriveranno?
L’entità dell’aumento nel cedolino – che avverrà non subito a gennaio, ma almeno da marzo-aprile con il recupero dell’arretrato – dipende dal metodo che il governo deciderà di seguire per la perequazione. Con gli “scaglioni Prodi” si va dai 126 euro medi in più all’anno per le pensioni fino a 1.500 euro lordi al mese – quelle 3 volte la pensione minima – ai 1.027 euro medi extra per gli assegni più importanti, sopra i 60 mila euro lordi annui, cioè 9 volte il minimo. Con il metodo “M5S-Lega”, in vigore ancora quest’anno, la variazione sarebbe da 126 a 484 euro annui.
Scaglioni o fasce
I metodi utilizzati negli ultimi 25 anni per rivalutare le pensioni all’inflazione sono due: quello a scaglioni, introdotto dal governo Prodi I – con i ministri Ciampi, Visco, Bersani e Treu, tra gli altri nel 1997, e quello a fasce adottato nel 2014 dal governo Letta. Tra i due metodi si colloca il Salva Italia del governo Monti nel 2011 – al suo interno c’era la riforma Fornero che bloccò per il 2012 e il 2013 l’indicizzazione per tutte le pensioni superiori a 3 volte il minimo, cioè sopra i 1.500 euro lordi. La Corte Costituzionale dichiarò poi nel 2015, con la sentenza 70, incostituzionale quel blocco. E toccò al governo Renzi intervenire per restituire in modo parziale e retroattivo i soldi ai pensionati: non a tutti, solo a quelli tra 3 e 6 volte il minimo, tra 1.500 e 3 mila euro.
La differenza tra i 3 scaglioni di Prodi e le 5 fasce di Letta è nel calcolo. Nel primo caso si segue un metodo tipo Irpef: rivalutazione piena al 100% fino a 2 mila euro, al 90% sulla quota di pensione tra 2 mila e 2.500 euro e 75% sulla quota sopra i 2.500. Il calcolo Letta invece è su 5 fasce di importo: a ciascuna corrisponde un’aliquota secca di rivalutazione – 100%, 95%, 75%, 50%, 45% – che va applicata su tutta la pensione. Un assegno da 4 mila euro recupera solo il 45% dell’aumento dei prezzi.
L’Avaro di Molière
Nel 2018 il governo M5S-Lega per non tornare al “metodo Prodi”, così come prevedeva la legge, decise di ampliare le fasce Letta da 5 a 7. Quasi 6 milioni di pensionati subirono un taglio di 3,6 miliardi. L’allora premier Conte liquidò le proteste così: «Parliamo di qualche euro al mese, neppure l’Avaro di Molière se ne accorgerebbe». L’Inps ci aggiunse del suo e prima accreditò gli assegni pieni tra gennaio e marzo. Poi stornò l’extra di 100 milioni a giugno dalle pensioni, dopo le elezioni europee del 26 maggio 2019, quelle della Lega al 34%, primo partito d’Italia.
Il bivio del governo Draghi
Le 7 fasce impostate da M5S-Lega diventate 6 nel 2020 con il governo Conte II, M5S-Pd (rivalutazione piena fino a 4 volte il minimo, anziché 3, cioè fino a 2 mila euro) – finiscono il 31 dicembre. Nel 2022 si torna ai tre scaglioni Prodi. Il governo Draghi può impedirlo e agire di nuovo sulle fasce, magari congelando gli aumenti per gli assegni alti. Ma deve evitare di incorrere in un nuovo stop della Consulta. E tenere in conto che 20 milioni di pensioni su 22,8 sono sotto i 2 mila euro e fino ad oggi quasi sempre adeguate in modo pieno, al 100%.
Repubblica