Il Sole 24 Ore, Gianni Trovati. Ma che bravi i dipendenti dell’Inps e dell’Inail, che ogni anno si meritano in media un premio da 5.444 euro all’anno; una cifra che vale il 13,4% dello stipendio lordo annuo. Non come quegli accidiosi lavoratori dei Comuni, che infatti si devono accontentare di 1.585 euro medi (5,4% della retribuzione lorda), cioè meno di un terzo di quel che arriva ai loro colleghi degli enti pubblici non economici. Per non parlare dei 54mila tecnici di università ed enti di ricerca: la loro inscalfibile pigrizia riduce a 600 euro all’anno il premio medio: il 2% della busta paga, e via andare.
Le cifre appena citate e quelle della tabella in pagina, che fotografano la distribuzione dei 2,2 miliardi di premi annui (6,1% della retribuzione media) agli 1,2 milioni di dipendenti contrattualizzati nei principali comparti della Pa, scuola esclusa, sono vere, calcolate dalla Ragioneria generale dello Stato in un nuovo dossier collegato al Conto annuale del personale. Le considerazioni che le accompagnano sarebbero invece vere in un mondo razionale: quindi non nella nostra Pa. Perché le distanze che separano i premi in busta fra i diversi enti, spiegano i tecnici del ministero dell’Economia nel dossier, sono dovute ad «accadimenti accidentali, talvolta non coordinati, avvenuti anche in anni remoti». E non hanno rapporti con «compiti, obiettivi e caratteristiche strutturali degli enti». Per questa ragione servirebbe «un ridisegno più organico della remunerazione accessoria del dipendente pubblico, maggiormente legata alle sfide che le diverse amministrazioni si trovano ad affrontare oltre che alla salute finanziaria dei bilanci degli enti». Tradotto: nonostante i dibattiti ultradecennali su performance e valutazioni dei dipendenti pubblici, nella parte variabile delle buste paga domina il caos, o il caso a voler essere più neutri. Un bel problema, mentre le riforme collegate al Pnrr puntano tutto sulla ricostruzione di competenze e carriere e il rinnovo contrattuale ha l’ambizione di far crescere gli stipendi anche in base alla «professionalità» maturata sul campo dai dipendenti.
I numeri messi in fila dalla Ragioneria generale mostrano la difficoltà della sfida. Un primo criterio per cercare di decifrare il quadro caotico offerto oggi dai bonus ai dipendenti pubblici può portare a una considerazione banale: le amministrazioni più ricche, dove gli stipendi medi sono più alti, sono anche le più generose nei premi: non solo in valore assoluto, però, ma anche in termini percentuali sulla retribuzione. Un criterio del genere avrebbe qualche senso nel mondo privato, dove al netto delle tante variabili in gioco il conto economico dell’azienda è anche un indicatore del valore del suo personale. Non così nel pubblico, però, dove le dimensioni del fondo per il salario accessorio, quello che finanzia anche i premi, si sono stratificate negli anni per una serie di misure che poco c’entrano con l’evoluzione operativa degli enti: gli «accadimenti accidentali» di cui parla la Ragioneria generale. Ma c’è di più.
Perché nel mondo complicato del pubblico impiego va usata una certa cautela anche nel collegare l’entità dei premi alla “fortuna” di chi li riceve. Il fondo accessorio in ogni amministrazione finanzia anche componenti «a carattere fisso e continuativo» della busta paga, come le promozioni che aumentano lo stipendio ma non la posizione gerarchica del dipendente: sono le attuali «progressioni orizzontali», che con il nuovo contratto dovrebbero trasformarsi in «differenziali stipendiali» legati alla professionalità. Siccome la torna è a dimensioni date, e la distribuzione fra voci fisse e variabili è decisa dalla politica sul personale del singolo ente, ci sono casi in cui i premi sono bassi perché sono più pesanti le voci fisse, per esempio perché ci sono state più promozioni.
Il collegamento fra la salute finanziaria degli enti e la ricchezza dei premi in busta è però confermato dal caso dei Comuni. Che offrono bonus più consistenti nelle Regioni dove i bilanci sono più in ordine, e li riducono nei territori in cui disavanzi e dissesti sono di casa. Con l’eccezione del Lazio, spinto in cima alla classifica dal peso statistico di Roma (1.754 euro all’anno il premio medio, 5,8% della retribuzione), la geografia dei bonus punta decisamente a Nord, dove spicca il terzetto composto da Veneto, Lombardia e Liguria, e penalizza il Sud con Basilicata, Sicilia e Calabria che chiudono la graduatoria nazionale. Il dipendente-tipo di un Comune calabrese può contare su premio medio da 649 euro all’anno, poco meno del 40% di quello che arriva al suo collega veneto. Anche se i Comuni sulla Sila hanno le stesse funzioni istituzionali di quelli della fu Serenissima Repubblica.