Il Corriere del Veneto. Le goccioline di saliva infettate dal virus Sars-Cov2 possono restare sospese nell’aria molto più della manciata di secondi accreditata da modelli basati su studi degli anni ‘30 e ‘40 e quindi accrescere il rischio di contagio. I motivi sono l’alta umidità dell’aria che buttiamo fuori e il vapore prodotto dalle stesse gocce che evaporano. Ma a differenza di quanto si è ritenuto finora il processo non riguarda solo le «grandi» particelle (circa un millimetro), bensì pure quelle medie (qualche micron). Soprattutto in ambienti chiusi e umidi, e quindi in assenza di vento che le spazzi via, sono in grado di sopravvivere per minuti, ore e, in caso di atmosfera stagnante e priva di ricambio d’aria, addirittura giorni. La novità, che potrebbe avere una ricaduta importante sulla gestione delle misure di contenimento della pandemia, emerge dallo studio condotto da un team di ricercatori delle Università di Padova, Udine e Vienna e pubblicato da «Pnas», la rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti.
«La ricerca è iniziata nel settembre 2020 dalla collaborazione con il professor Alfredo Soldati, ordinario di Fluidodinamica dell’Ateneo di Udine e direttore dell’Institute of Fluid Mechanics and Heat Transfer di Vienna — spiega Francesco Picano, professore associato di Ingegneria industriale all’Università di Padova —. Attraverso esperimenti e simulazioni abbiamo osservato che il tempo di sopravvivenza di goccioline di saliva infette di media grandezza è 10 volte superiore a quanto indicato dai modelli sviluppati negli anni ‘30 e ‘40 per stabilire la distanza sociale dopo l’epidemia di influenza spagnola. All’epoca infatti erano state condotte ricerche per capire come si disperdessero nell’ambiente e come potessero essere veicolo di contagio. Noi abbiamo rivisto tali meccanismi con le tecniche recenti e più avanzate, arrivando a stabilire che in ambienti umidi, come la Pianura Padana, e chiusi, i tempi di sopravvivenza di queste particelle possono allungarsi a dismisura — aggiunge Picano —. Non evaporano, sono in grado di restare sospese anche giorni». Secondo la ricerca dei tre Atenei i modelli attualmente utilizzati «assegnano un alto rischio di contagio solo alle gocce grandi, ipotizzando che quelle piccole evaporino velocemente e presto scompaiano. In realtà l’effetto delle gocce piccole è amplificato dall’elevata umidità invernale, che ne rallenta ulteriormente l’evaporazione e quindi aumenta il rischio di diffusione del contagio».
Conclusioni sulle quali si basa un secondo studio condotto dallo stesso team, che dovrà stabilire l’effetto sul rischio di contagio esercitato dalla mascherina, dalla distanza sociale e appunto dall’ambiente circostante. «Gli strumenti di indagine a disposizione oggi consentono di formulare raccomandazioni scientificamente valide — illustra Soldati — proprio per quanto riguarda le mascherine e le distanze di sicurezza. Siamo al lavoro per sviluppare un modello semplificato sull’utilizzo dei dispositivi di protezione in diverse situazioni». I risultati saranno disponibili fra qualche settimana, ma il professor Picano è già in grado di anticipare: «Stiamo appurando la distanza alla quale possono arrivare le goccioline e abbiamo già verificato che l’uso della mascherina è estremamente efficace. L’esperiemento, condotto su soggetti positivi al Covid-19, ha dimostrato che a parità di distanza il ricorso a tale barriera abbatte drasticamente il pericolo di esposizione al virus. Stiamo calcolando di quanto si abbassi il rischio passando da mezzo metro al metro di distanza sociale, in presenza o meno di mascherina e di umidità. Speriamo di dare così un contributo alla gestione della pandemia».
Ieri intanto il Veneto ha registrato un’impennata di contagi, 376 (erano 181 lunedì), per un totale di 468.500 dall’inizio dell’emergenza. Ma ciò che preoccupa sono i dieci nuovi decessi, che portano la lunga scia di vittime a 11.770. «Si tratta di pazienti morti negli ultimi giorni, non in sole 24 ore — precisa la Regione —. Sono però stati segnalati nel bollettino ufficiale tutti insieme». L’unica buona notizia è il calo dei ricoverati: in Malattie infettive e in Pneumologia adesso sono 243 (-10), in Terapia intensiva 52 (-3).
Sul fronte delle vaccinazioni anti-Covid ieri ne sono state effettuate 17.058, delle quali 573 sono terze dosi a soggetti fragili, ormai giunte a quota 5.518. I veneti che hanno completato il ciclo vaccinale rappresentano il 69,6% dei residenti mentre il 73,4% ha assunto la prima dose. Il 71,7% dei ventenni e il 58,4% dei ragazzi tra 12 e 19 anni sono immunizzati.